EINSTEIN E L'ABORIGENO
Tutto è cominciato questo sabato pomeriggio, quasi per caso. Seduto sul divano, con il telecomando tra le mani, mi sono imbattuto in un documentario sugli aborigeni australiani. Le immagini mostravano vasti deserti, cieli sconfinati e volti segnati dal sole, mentre una voce narrante parlava del Tempo del Sogno. Quelle parole, intrise di mistero, mi hanno catturato, stuzzicando la mia curiosità. Mi è venuto in mente un bellissimo sketch di Corrado Guzzanti, dove alla fine si domandava "Aborigeno, ma io e te che cazzbippp ce dovemo dì?". Ma di certo, Albert Einstein con l'aborigeno, di cose, ne avrebbero avuto molte da dirsi.
Il concetto aborigeno di Tempo del Sogno e delle songlines presenta sorprendenti analogie con la moderna concezione scientifica dello spaziotempo e dei gravitoni, le particelle teoriche che mediano la forza di gravità. Mentre a prima vista queste due visioni sembrano appartenere a mondi inconciliabili – uno mitico e spirituale, l’altro scientifico e razionale – un’analisi più approfondita rivela un’interessante sovrapposizione di idee.
Per gli aborigeni australiani, le songlines sono linee invisibili che attraversano il paesaggio, tracciate dagli antenati creatori durante il Tempo del Sogno. Queste linee non sono solo percorsi fisici, ma collegano il visibile e l'invisibile, il mondo materiale e quello spirituale. Attraverso il canto, gli aborigeni mantengono vivo questo tessuto connettivo, garantendo la continuità della creazione. Ogni canzone è un atto di memoria, un richiamo a un ordine cosmico che lega insieme luoghi e storie.
Nel mondo scientifico, il concetto di spaziotempo – introdotto dalla teoria della relatività di Einstein – descrive un universo in cui lo spazio e il tempo non sono entità separate, ma formano una rete continua, una sorta di "tessuto" che può essere deformato dalla massa e dall’energia. In questa visione, i gravitoni sono le particelle ipotetiche che trasportano la forza di gravità, propagandosi attraverso questa rete. Proprio come le songlines, i gravitoni agiscono come connessioni invisibili, trasmettendo informazioni e mantenendo la coerenza dell’universo.
Tuttavia, la profondità del parallelo si manifesta non solo nell'aspetto tecnico, ma anche in una visione filosofica dell’esistenza. Le songlines aborigene rappresentano una memoria vivente, un modo per percepire e mantenere viva la connessione con la creazione. Questa visione richiama la nozione di "eterno ritorno" di Nietzsche, dove la realtà è ciclica, e ogni gesto è un’eco di una creazione primordiale. Allo stesso modo, i gravitoni e le onde gravitazionali, trasmettendo informazioni attraverso lo spazio, possono essere visti come il "ricordo" dell’universo che comunica la sua stessa struttura.
Inoltre, il concetto di Tempo del Sogno aborigeno sfida la nostra percezione lineare del tempo. Mentre nella visione occidentale il tempo è una freccia che va dal passato al futuro, per gli aborigeni il tempo è simultaneo, sempre presente, un luogo che può essere abitato e cantato. Questa concezione risuona con le moderne teorie della fisica quantistica, dove il tempo può essere relativo e dove l’entanglement quantistico connette istantaneamente particelle distanti, sfidando le nozioni tradizionali di causa ed effetto.
Le analogie non si fermano qui. Così come il canto è essenziale per mantenere vive le songlines, anche i gravitoni possono essere visti come un modo in cui l'universo "canta" la sua struttura, trasmettendo informazioni gravitazionali da un punto all'altro. Le onde gravitazionali, osservate per la prima volta nel 2015, sono vibrazioni di questo spaziotempo che si propagano come onde, molto simili ai canti aborigeni che attraversano la terra.
Questo parallelo tra songlines e gravitoni suggerisce una profonda riflessione sul modo in cui diverse culture cercano di comprendere il legame tra spazio, tempo e significato. Per gli aborigeni, questo legame è vivo, spirituale e viene celebrato attraverso la ritualità del canto. Per la scienza moderna, è una realtà fisica descritta da leggi matematiche, ma non meno misteriosa. In entrambi i casi, la realtà è una rete di connessioni, visibili o invisibili, che danno forma e significato all’universo.
In conclusione, il dialogo tra queste due prospettive – una tradizionale e spirituale, l’altra moderna e scientifica – non è solo un esercizio teorico, ma una testimonianza della capacità umana di interpretare la realtà attraverso simboli e concetti. Le songlines e i gravitoni, pur appartenendo a mondi concettuali diversi, ci ricordano che l’universo è un intreccio di relazioni, e che, in un certo senso, tutto è connesso.
L'idea di accostare concetti che appaiono apparentemente distanti come le Songlines aborigene e la fisica moderna, trovo che sia molto originale e piena di valore. Per me, apre una finestra affascinante su come culture, considerate primitive, abbiano, invece, strumenti e prospettive uniche, tali da arrivare a intuizioni sorprendenti e simili alla natura della realtà e delle sue connessioni. Direi che è una bustina che cavalca molto il mio modo di vedere la realtà e fa riflettere profondamente.
RispondiEliminaNhämirri 🌹 ... [grazie in aborigeno]
Elimina