ATTRAZIONE FATALE


Mio nipote, quest’anno, dovrà fare la Prima Comunione.

Si tratta di un traguardo importante nella vita di un cristiano, poiché rappresenta il primo Sacramento che si affronta da “essere pensante”.

La preparazione avviene attraverso il tradizionale catechismo che, almeno per quello che ricordo, era soprattutto un’occasione per fare confusione con i miei amici. Eppure mi affascinava – e mi affascina ancora – la storia di quell’Homo, o meglio, di quel Dio fattosi uomo.

Oggi, però, il catechismo mi entusiasma un po’ meno, soprattutto perché si aggiunge ai già numerosi impegni post-scolastici e, diciamolo chiaramente, cade proprio nell’unico giorno libero della settimana: la domenica mattina, prima della Messa.

In parole povere, dopo sei giorni dedicati al lavoro [beh, non esageriamo, diciamo a dove passo il mio tempo], la domenica restava l’unico giorno da dedicare al mio hobby preferito: dormire.

E invece no! Niente da fare. Sveglia all’alba, con il conto alla rovescia scandito dal nuovo sistema campanario della chiesa.

Un impianto stereo giapponese ha sostituito il, stranamente e inspiegabilmente, compianto mastro campanaro.

Non ha anima: si sente il fruscio prima della melodia. Insomma, toglie al misticismo che una chiesa dovrebbe emanare, dando invece un senso di artificiale, come in un jukebox o, peggio, in un distributore automatico di Dio.

Vabbè, mettiamoci l’anima in pace: vestiamoci e andiamo a Messa.

A Messa le cose sono un po’ cambiate rispetto a quando ci andavo io. Le canzoni, ad esempio, sono tutte tratte – o meglio, plagiate – dai grandi successi del passato.

“Sound of Silence”, mitico brano di Simon & Garfunkel, viene usato per musicare il Padre Nostro, tanto per dirne una.

All’inizio la cosa mi ha fatto piacere, sono canzoni stupende, ma ripensandoci ho visto un futuro desolante. Ho immaginato inni adoranti e inviti a seguire Nostro Signore sulle note di DJ Francesco con la sua “Capitano Uncino”, oppure l’ingresso della sposa in chiesa sulle note di “Should I Stay or Should I Go” dei Clash, o ancora “Money, Money, Money” degli ABBA per l’offertorio. Che tristezza.

Non mi soffermo su quegli aggeggi – stavo per dire “infernali”, ma visto il luogo meglio evitare… ops, l’ho detto! – insomma, quei dispositivi con lampadine montate su steli a forma di candela che si accendono solo se si inseriscono almeno 50 centesimi, e lampeggiano finché non si raggiunge la cifra richiesta.

Almeno, una volta, potevi mettere quello che volevi: era un’offerta. Ora è un’offerta con franchigia. Potevi anche far finta di mettere i 50 centesimi richiesti [le candele le comprano anche loro, non è che gliele regalino, ma comunque la comunità parrocchiale si fa carico anche della mancata offerta di chi non può permettersi certe spese]. Dio non agisce in base al “sacrificio”, anche se, nel Vecchio Testamento, senza sacrifici non si muoveva nulla. Suo Figlio, invece, si accontenta di essere pregato. Senza contare che si perde tutto il rito dell’accendere la candela, essere raggiunti prima dalla luce, poi dal calore, infine dall’odore di cera. Venivano coinvolti tutti i sensi. Ti “gustavi” il momento, mentre ora mi aspetto quasi che da qualche finestrella esca una lattina di Coca-Cola.

Una cosa, però, è cambiata in meglio: i chierichetti.

Un po’ d’invidia l’ho provata vedendo le chierichette, insomma, le femmine.

Eh sì, ai miei tempi era una faccenda da maschietti e le ragazze non potevano neanche pensare di farlo.

Ho fatto il chierichetto con un prete “prete”, di quelli di una volta. Un uomo alla “prete Sanna”, protagonista del bellissimo libro di Bachisio Zizi, “Il Ponte di Marreri”. Un prete padrone, un uomo tanto legato a Dio quanto allo sterco del suo rivale: il denaro.

Una vera macchina da soldi, un manager che qualsiasi società avrebbe voluto come amministratore delegato.

Non vedeva nel denaro qualcosa di diabolico. “Dopotutto”, diceva, “a Gesù hanno regalato l’oro appena nato, quindi non deve essere qualcosa di negativo”.

Come tutte le cose, è l’uso che se ne fa a renderle buone o cattive. Di per sé è neutro [pecunia non olet, no?].

Ho un ricordo buffo di quando ero al suo “servizio”, che la dice lunga su quanto vi ho appena raccontato. Ogni anno, in occasione delle benedizioni delle case per Pasqua, si andava di casa in casa e le famiglie davano un’offerta per la chiesa.

I soldi di carta venivano immediatamente messi nel grande portafoglio tipo benzinaio, saldamente custodito dal Don e già stracolmo di banconote. Altra sorte toccava alle monete, che, prevedendo sarebbero diventate troppo pesanti da portare, faceva mettere in una boccia di vetro, un acquario a palla portato da noi chierichetti.

La boccia era piena d’acqua. Sì, piena d’acqua, che fungeva da antifurto. Non fidandosi – a ragione – di noi monelli, con l’acqua nella boccia avrebbe subito individuato il “ladro”, che si sarebbe ritrovato con le maniche della tunichetta bagnate.

Ne sapeva una più del diavolo, il nostro Don, ma noi monelli ne sapevamo una più di lui. Grazie al maestro di scuola, durante una interessantissima lezione sul magnetismo, ci aveva mostrato come una piccola calamita potesse attirare e tenere una moneta da 100 lire.

Fu una folgorazione!

Quanti gelati, quante partite a flipper e a calcetto al bar…

Grazie Maestro Franco, grazie di cuore.

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