Libertà = Diritto?



La libertà di scelta nell’interruzione volontaria di gravidanza è una questione di diritti e limiti. 

"La legge determina le condizioni in cui viene esercitata la libertà, garantita alla donna, di ricorrere a un'interruzione volontaria di gravidanza." Questo è il testo della norma appena approvata dal Parlamento francese, in cui si parla di libertà e delle condizioni in cui tale libertà si esercita, ma non di diritto.

Sebbene i concetti di libertà e diritto siano strettamente collegati, non sono sinonimi.

La libertà rappresenta la possibilità di agire, pensare e scegliere senza costrizioni esterne. È un concetto ampio che si applica a diversi ambiti della vita, come la politica, la religione, l’economia o le scelte personali.

Il diritto, invece, è una pretesa riconosciuta e tutelata da norme giuridiche. Si tratta di un concetto più specifico, che implica l’esistenza di un obbligo corrispondente da parte di altri soggetti o dello Stato.

In sintesi, mentre la libertà è la possibilità di compiere un’azione, il diritto è la garanzia che tale possibilità sia riconosciuta e protetta da un sistema legale.

Nel caso dell’interruzione volontaria di gravidanza, si può parlare più propriamente di libertà, poiché riguarda una scelta che appartiene unicamente alla donna. La gestazione, infatti, è un’esperienza biologica esclusiva della donna; non esiste alcun altro soggetto [come l’uomo, lo Stato o altri] che possa vantare una "potenzialità" analoga. Pertanto, non si può configurare un diritto alla gestazione applicabile a soggetti diversi dalla donna stessa.

La libertà di interrompere una gravidanza, come ogni altra libertà, non è assoluta. Il legislatore può porre limiti per bilanciare gli interessi coinvolti, come la tutela della vita potenziale. Ad esempio, in molte legislazioni, la donna può decidere liberamente entro un determinato periodo [ad esempio, 90 giorni dal concepimento], mentre interventi successivi sono permessi solo in circostanze specifiche, come il pericolo per la vita della donna o gravi malformazioni del feto.

Il dibattito etico si concentra sulla legittimità di riconoscere al feto uno status giuridico che possa entrare in conflitto con la libertà della donna. I movimenti pro-vita sostengono che il feto abbia un diritto assoluto alla vita, mentre altre posizioni sottolineano che il riconoscimento di un tale diritto non dovrebbe annullare o neutralizzare la libertà della donna.

Definire l’interruzione volontaria di gravidanza come libertà piuttosto che diritto non sminuisce l’importanza di questa scelta, ma sottolinea che essa nasce da un’esperienza esclusivamente femminile. Le limitazioni previste dal legislatore devono bilanciare i diversi interessi coinvolti senza annullare la libertà fondamentale della donna di decidere sul proprio corpo e sulla propria vita.

La pretesa dei movimenti pro-vita di far prevalere un presunto diritto di un terzo [quello del feto] fino all'annullamento totale di una libertà non può essere eticamente accettata.


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