IUS FORTUNA
A chi non è capitato, soprattutto a scuola, quando il maestro portava in classe un mappamondo, di farlo ruotare come una roulette e fermarlo con un dito, per poi vedere in quale punto ci si è fermati?
A volte ci fermavamo in mezzo a un oceano, altre volte su un'isoletta minuscola, che bisognava avvicinare molto per vederla, altre ancora in un deserto o in paesi esotici. La "scoperta" era sempre accompagnata dalle risate degli amici e dalla delusione o felicità, a seconda del luogo trovato casualmente.
In un certo senso, è quanto ci è accaduto, nella realtà, nascendo “per caso” in un determinato luogo.
Non era scontato nascere dove siamo nati e con tutte le relative conseguenze. Infatti, tutto questo dipende da molti fattori e il più importante non è il “sangue”, ossia i genitori.
Per noi, essere nati da genitori di origini italiane in terra italiana è solo la convergenza casuale di molte variabili, come il periodo storico, la situazione economica, le opportunità di realizzazione delle ambizioni, il quadro politico-sociale e così via.
I nostri bisnonni o trisnonni non hanno vissuto le stesse “convergenze”, e per alcuni di loro oggi li consideriamo stranieri, pur portando il loro stesso sangue.
Pensiamo, ad esempio, agli altoatesini o a chi, nato prima del 1790 o del 1860, era italiano ed è poi diventato francese [Corsica, Nizza].
Il “sangue” ha seguito la politica, cambiando completamente il paradigma dello “ius sanguinis”.
Verrebbe da dire che lo “ius soli” sia l’approccio più corretto per la determinazione individuale della cittadinanza; e, in effetti, sarebbe logico dire: “Chi nasce in un luogo ne acquisisce la cittadinanza”.
L’uso iniziale del condizionale ci invita a considerare la questione con pragmatismo e, soprattutto, con buon senso.
Benché esistano luoghi in questo piccolo pianeta dove lo ius soli è la norma, persino motivo di orgoglio, poiché alla base della formazione e del successo di quei paesi, a causa di situazioni geografiche, politiche [anche internazionali], migratorie, ecc., estendere lo ius soli tout-court anche alla nostra Italia comporterebbe problematiche al momento insormontabili e suscettibili di creare tensioni.
Un approccio pragmatico alla questione dovrebbe tener conto di fattori, evidenze e sensibilità che nel tempo si sono sviluppati, affinati o eliminati.
Una proposta in tal senso è lo ius scholae, ossia l’acquisizione della cittadinanza in seguito alla frequenza di un ciclo scolastico completo [elementari, medie o superiori, ecc.] . Lo ius scholae, in un paese con obbligo scolastico, rappresenterebbe la soluzione più pragmatica ed equilibrata.
Ancora una volta l’uso del condizionale evidenzia un ulteriore "paletto" che la politica vorrebbe imporre per l’acquisizione della cittadinanza: la famiglia di origine deve dimostrare di avere una continuità residenziale e lavorativa, e una fedina penale immacolata.
A mio avviso, queste “clausole” non sono accettabili [anche nel caso dello ius soli “temperato”] e le definirei addirittura “vessatorie”, quasi da “annullare il contratto”.
E quale sarebbe, allora, l’approccio più corretto?
In primo luogo, considerare l'unicità della persona in quanto tale, come portatrice di diritti inviolabili, indipendenti dalle azioni o condizioni di altri, persino dei genitori. Subordinare l’acquisizione della cittadinanza di un minore alle condizioni, situazioni o azioni di altre persone non rispetta il principio di “responsabilità personale”. Se mio padre perde i diritti politici per un qualsiasi motivo previsto dalla legge, io, come figlio, non posso essere considerato corresponsabile e perdere, a mia volta, i diritti politici.
Mi permetto una piccola provocazione: se si pretende di riconoscere a un ovulo fecondato, a una morula, a un embrione, a un feto il possesso di diritti propri, inviolabili e indipendenti dalla madre, non si può al contempo sostenere che la cittadinanza di quell’essere dipenda dalle azioni e condizioni di altri.
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