DAL MALI...IN PEGGIO


Alle ore 07:00 di domenica 20 ottobre 2024, nel piazzale antistante la Stazione di Verona, finiva la vita di Moussa DIARRA, colpito a morte da un poliziotto che reagiva alle minacce di Moussa armato di coltello. Il poliziotto, come spesso accade in questi casi, è indagato per "eccesso colposo di legittima difesa". Sarà quindi un Giudice a stabilire una Verità [aggiornamento al 19 luglio 25, ancora non si conosce la dinamica].

La fredda cronaca sintetizzata dai titoli dei giornali, rimbalzata nei vari social e l'immancabile strumentalizzazione da parte della Politica, ha scatenato i commenti de LA GENTE.

E qui si concretizza ciò che la saggezza popolare ha sempre cercato di metterci in guardia: il non giudicare un libro dalla copertina o un film dall'ultima sequenza finale.

Ma è più forte di noi, si giudica l'istante e non la lunga storia che l'ha determinato.

Ultimamente anche al cinema si raccontano le storie che hanno portato i classici "villain" ad essere tali. Maleficent e Joker, per fare qualche esempio.

Moussa DIARRA aveva 26 anni, era arrivato in Italia 8 anni prima quando ne aveva appena 18.

Ma il suo viaggio era cominciato anni prima, quando era ancora un bambino, nel suo Paese, il MALI.

Il MALI, a chiederlo a bruciapelo [ma anche no], nessuno sa dire dove si trovi, nemmeno indicarlo genericamente se su, giù, a destra o sinistra dell'AFRICA; è in AFRICA e tanto basta.

Inoltre è nero, quindi non merita alcuno sforzo di personalizzazione, di umanizzazione. Non è un africano bianco, un "afrikaner", per i quali avremmo subito avviato una serie di distinguo, di personalizzazione, di approccio benevolente e garantista. Moussa era nero, PUNTO.

Il suo viaggio comincia dai suoi sogni di bambino e possiamo immaginarli come quelli di tutti i bambini. Ma in Mali, i bambini non hanno avuto molte possibilità di sognare. Una terra di conquista e di colonizzazione da parte della Patria dell'Illuminismo, del "Fraternité, Égalité et Liberté" [naturalmente solo se sei bianco, non esageriamo]. Nel MALI, nel 2012, c'è un colpo di Stato e scoppia la guerra civile. Moussa aveva 14 anni.

A 14 anni, età in cui da noi la preoccupazione più grande per un ragazzino è quella di avere la PS5 o il patentino per il motorino, Moussa e la sua famiglia si preoccupano di non morire e partono, a 14 anni, col fratellino per l'Europa. Chissà quante volte ne hanno sognato le città, conosciute attraverso i libri di scuola, le pubblicità, la TV. Immaginando di passeggiare tranquillamente per le vie, sedersi a un tavolino a godersi un gelato, chiacchierare e fare amicizia con gli altri bambini del luogo. Ma anche solo entrare in un locale, passeggiare e passare inosservati.

Il viaggio non è certo quello che farebbe un quattordicenne italiano, muovendosi per Paesi democratici, liberi e dove si può programmare vitto e alloggio. Moussa e il fratellino attraversano Paesi come l'Algeria, la Tunisia, l'Egitto, il Niger, la Libia. Tutti Paesi sicuri, almeno stando al Decreto del nostro Governo. Certo, Moussa non viaggia per resort o città turistiche a bordo di bus Gran Turismo, ma se un Paese è sicuro lo è anche se vai da solo da minorenne con un "meno minorenne" al seguito, no?

Moussa finalmente arriva in Italia, più precisamente viene tratto in salvo da una nave di una ONG di pattuglia nel Mediterraneo. È più grande ora, ha 18 anni, è diventato un Uomo [ma lo era già da tempo]. Poteva essere facilmente uno di quelli tenuti a bordo della Open Arms per una ventina di giorni in mezzo al mare da un Ministro della Repubblica italiana, un Ministro dai forti valori cristiani, peraltro, almeno a parole sue.

Ma alla fine sbarca a Lampedusa e conosce anche altre persone che i valori cristiani non li ostentano solo a parole ma li applicano, per fortuna.

Da qui è un lungo spostarsi per Centri di "Accoglienza", dove "accoglienza" è un eufemismo, ma tant'è.

I lavori, per uno partito a 14 anni dal Mali, età in cui si finiscono le scuole medie per pensare al futuro professionale, non sono certo di quelli che permettono di guardare serenamente al Futuro nel Paese ospite, ma per il proprio, di Paese, è sicuramente più ottimistico. Il permesso di soggiorno è quello per motivi umanitari, ma di umanitario c'è poco, solo il nome del permesso.

Lavora nelle campagne veronesi per 3€/ora e poi solitudine. Il fratellino, anche lui sempre stato Uomo, sta a Torino. Sarà lui a riconoscerlo nella prassi burocratica a Verona e stavolta è morto definitivamente, non come le innumerevoli altre volte durante il Viaggio.

Moussa vive in un centro migranti vicino Verona, spesso nelle cronache veronesi per il sovraffollamento. Intanto chiede il rinnovo del permesso di soggiorno che nel frattempo era evidentemente scaduto. Risulta che dal 29 giugno del 2020 Moussa avesse un cedolino della Questura, ossia un pezzetto di carta che vale come ricevuta, che attesta come lui avesse presentato domanda di rinnovo e come fosse in attesa di una risposta. Dai suoi documenti risulta che la questura gli avesse fissato diversi appuntamenti:

il 13 dicembre del 2021  

il 31 gennaio 2022  

il 17 marzo  

il 31 marzo  

il 5 maggio  

il 26 maggio  

il 14 luglio  

il 26 agosto del 2022... e così via

Queste date, indicate e poi via via cancellate, dicono che Moussa si era sempre presentato e aveva ricevuto, ogni volta, un appuntamento successivo.

Queste ricevute danno in teoria la possibilità di trovare un lavoro ed essere assunti in modo regolare, non sono riconosciute da altri enti e ostacolano anche la richiesta di un codice fiscale, un conto in banca, un medico di base, ecc.

Le cose non migliorano col decreto CUTRO del Governo Meloni, riducendo l'assistenza psicologica e la mediazione culturale.

Mangia nelle mense della Carità e usufruisce dei servizi offerti dalle Parrocchie, organizzazioni e del Comune [docce, lavanderia, tutela giuridica, sanitaria].

Eppure tutto questo Inferno è sempre meglio di quello che ha lasciato 12 anni prima in Mali.

Il 10 ottobre 2024 doveva presentarsi per l'ennesima volta in Questura, per l'ennesimo visto su un pezzo di carta pieno di timbri e sigle illeggibili che lo avrebbero rimandato a presentarsi in un'altra data, perdendo una giornata di "lavoro" pagato 3€/ora.

Quel 10 ottobre non ci andrà e chissà cosa sarà passato per la sua testa in quei lunghi 10 giorni, gli ultimi 10 giorni della sua Vita.

L'associazione "Il Ghibellin fuggiasco", la Parrocchia, la comunità maliana che hanno supportato per quanto hanno potuto Moussa, hanno organizzato una piccola veglia nel luogo dov'è morto. Qualche fiore, una piccola targa, dei fogli A4 con una frase, una poesia.

La sera stessa quei fiori, la targa, i fogli sono stati calpestati e sfregiati dai militanti di Forza Nuova.

Nei social, al bar, si "sfotte" chi ha partecipato al suo ricordo. Moussa non merita nemmeno quello, nemmeno ora che è morto e che non disturba più nessuno, se mai l'avesse fatto. Perché Moussa, per loro, quelli dei "valori cristiani", non era un Uomo e non merita nemmeno un po' di Misericordia..

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