KRAMER CONTRO KRAMER
Lo scontro tra due poteri dello Stato – esecutivo e giudiziario – a cui stiamo assistendo in questi giorni presenta elementi che destano seria preoccupazione.
Va subito chiarito che un certo livello di tensione tra i poteri può essere anche interpretato come segnale di una democrazia viva, dove nessuno dei poteri prevale sugli altri. Tuttavia, le preoccupazioni nascono dalla natura stessa dei soggetti coinvolti.
Il potere legislativo [il Parlamento] e quello esecutivo [il Governo] sono espressione della volontà politica. Il potere giudiziario [la Magistratura], invece, ha una natura tecnica, fondata su principi di imparzialità e legalità, non di rappresentanza politica.
Tutti e tre i poteri sono sottoposti alla legge e ne sono limitati. Ma mentre Parlamento e Governo sono soggetti al controllo giurisdizionale, la magistratura risponde a sé stessa attraverso un sistema di controlli interni – tra cui spiccano il Consiglio Superiore della Magistratura [CSM] e i procedimenti disciplinari – con il Presidente della Repubblica a svolgere il ruolo di garante dell’equilibrio costituzionale.
In questo contesto, tra i due poteri oggi in tensione, la magistratura può essere paragonata alle forze dell’ordine: è un’istituzione umana, dunque fallibile, ma rappresenta per i cittadini un presidio irrinunciabile. La sua autorità deve restare salda anche nei casi – fisiologici – in cui l’autorevolezza di singoli magistrati viene meno. È fondamentale evitare generalizzazioni che minano la fiducia collettiva nell’istituzione.
Il governo, per sua natura, è invece espressione del momento politico: è legittimato dal voto, ma limitato nel tempo [massimo cinque anni].
Nel suo caso, è più corretto parlare di autorevolezza, non di autorità. Quando un governo assume caratteristiche di autorità assoluta, la democrazia entra in crisi.
L’autorevolezza è ciò che, in una democrazia, genera consenso e legittimazione a governare, ma non giustifica un potere senza limiti.
L’autorevolezza del governo riguarda il rapporto con gli elettori, gli unici chiamati periodicamente a esprimere un giudizio politico. L’autorità della magistratura, invece, riguarda l’intera collettività – cittadini italiani e stranieri residenti – e non ha un’alternanza legata al voto, ma è regolata da leggi, garanzie e meccanismi autonomi.
All’interno di questo quadro, il confronto tra governo e magistratura si svolge sì entro i confini costituzionali, ma con logiche e finalità molto diverse.
Il rischio per la democrazia si manifesta quando il potere esecutivo – nel tentativo di accrescere la propria autorevolezza politica – finisce per delegittimare il potere giudiziario, presentandolo come un attore autoreferenziale e potenzialmente “eversivo”. Così facendo, il governo rischia di porsi come l’unico interprete legittimo della volontà popolare, scavalcando l’equilibrio tra i poteri.
Le conseguenze di questa deriva sono temporanee per l’esecutivo – limitate alla durata della legislatura – ma potenzialmente durature per la magistratura, i cui effetti si estendono nel tempo, ben oltre il ciclo di un singolo governo.
Questa dinamica non è sempre evidente all’opinione pubblica, ma i suoi effetti negativi sono concreti. Si può tracciare un parallelo con quanto accaduto durante la pandemia: la scienza ha perso autorità a causa di attacchi provenienti da chi – talvolta in buona fede, talvolta con intenti strumentali – cercava di ottenere visibilità e consenso.
Che si trattasse di scienziati controcorrente o di veri e propri ciarlatani [più spesso questi ultimi], il risultato è stato un indebolimento della fiducia collettiva nella scienza: calo delle vaccinazioni, crescita del consenso verso fonti non qualificate e compromissione delle strategie di profilassi, con gravi conseguenze per la salute pubblica.
Ora, basta sostituire scienza con magistratura, ciarlatani con governo e salute pubblica con democrazia per comprendere la portata del rischio.
Riprendendo – e parafrasando – uno slogan frequentemente utilizzato dalla destra di governo, “Con le forze dell’ordine sempre e comunque”, potremmo dire: “Con la magistratura sempre e comunque”. È una posizione netta, ma è anche l’unica che garantisce la tutela effettiva dei principi democratici.
In conclusione, l’unico approccio che realmente protegge l’equilibrio democratico è sostenere la magistratura nel suo ruolo di custode dei diritti di tutti.
È fondamentale evitare che il dibattito istituzionale degeneri in uno scontro tra presunti oppressori e presunti oppressi. Solo una visione condivisa e rispettosa delle funzioni costituzionali può preservare un equilibrio sano tra i poteri dello Stato, senza derive, né forzature.
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