FALLO DI RIMESSA



Le rimesse degli immigrati sono spesso descritte come un'"emorragia economica", un flusso di denaro che esce dal Paese impoverendolo. Questa visione è non solo semplicistica ma anche fuorviante, poiché ignora il contributo economico netto che gli immigrati portano all'Italia e il contesto globale di questo fenomeno.

Contrariamente alla narrazione allarmistica, i 12 miliardi di euro che gli immigrati inviano annualmente nei loro Paesi d'origine rappresentano solo una piccola frazione della ricchezza che essi generano in Italia. Secondo la Fondazione Leone Moressa, nel 2023 il contributo degli immigrati al PIL nazionale è stato pari all'8,8%, ovvero circa 164 miliardi di euro. Questo risultato è il frutto del loro lavoro in settori chiave come l'edilizia, l'agricoltura, la logistica e l'assistenza domestica, spesso in ruoli che i cittadini italiani evitano.

Gli immigrati, oltre a inviare rimesse, spendono la maggior parte dei loro guadagni in Italia, sostenendo consumi locali e contribuendo al gettito fiscale. Le loro tasse, tra cui IRPEF, IVA e contributi previdenziali, ammontano a circa 27 miliardi di euro annui. Tali entrate finanziano i servizi pubblici, spesso senza che gli immigrati possano accedervi pienamente a causa di barriere burocratiche o discriminazioni.

Ma le rimesse non sono una perdita secca per l'Italia. Esse fanno parte di un sistema economico globale che apporta benefici sia ai Paesi d'origine sia a quelli di destinazione. I fondi inviati sostengono le famiglie, migliorano l'accesso a istruzione e sanità e stabilizzano le economie dei Paesi d'origine. Questo ha ricadute positive anche per l'Italia, riducendo la pressione migratoria irregolare e favorendo la cooperazione internazionale.

Allo stesso tempo, anche le rimesse inviate in Italia dagli italiani residenti all'estero sono significative. Nel 2023, queste rimesse hanno raggiunto circa 646 milioni di euro, un netto aumento rispetto ai 228 milioni del 2004 e ai 478 milioni del 2011. Questo flusso di denaro, lungi dall'essere trascurabile, rappresenta un sostegno importante per molte famiglie italiane. Tuttavia, il saldo complessivo delle rimesse vede l'Italia in deficit, con oltre 8 miliardi di euro inviati all'estero nello stesso anno.

La percezione che i Comuni italiani siano gravati dai costi delle famiglie immigrate è spesso priva di dati concreti. Gli immigrati accedono a meno sussidi rispetto ai cittadini italiani e, al contempo, rivitalizzano aree urbane e rurali, contrastando il declino demografico e favorendo la nascita di nuove attività commerciali. Secondo l'INPS, nel 2023 i lavoratori stranieri rappresentavano il 10,7% degli assicurati dell'Istituto, ma solo il 5,6% dei beneficiari di prestazioni di disoccupazione.

Anche il caso dei cittadini del Bangladesh, che inviano in media 604 euro al mese alle loro famiglie, va analizzato nel giusto contesto. Questi lavoratori sono spesso impiegati in settori a bassa remunerazione e destinano parte significativa dei loro guadagni alle famiglie, sostenendo comunità in Paesi con sistemi di welfare fragili. Presentare questo dato come negativo è ingiusto e distorsivo.

Ma ciò che fa più indignare è l'uso di un linguaggio allarmistico e divisivo, con termini come "emorragia" e "colossale", non fa che polarizzare il dibattito. Una narrazione equilibrata dovrebbe riconoscere che gli immigrati non sono solo un costo, ma una risorsa preziosa per l'Italia, soprattutto in un contesto di declino demografico. Riconoscere i loro contributi economici, sociali e demografici è essenziale per promuovere politiche di integrazione più efficaci e costruire una società più inclusiva e prospera.

Eppure, paradossalmente, una certa politica sembra volerli colpire su più fronti: da un lato si stigmatizza l’invio di rimesse ai Paesi d’origine, dall’altro si ostacola o rende costoso l’accesso alle risorse e ai diritti, come la cittadinanza, a cui pure contribuiscono ampiamente.

Basti pensare al tentativo di introdurre una tassa dell’1,5% sulle rimesse verso Paesi extra-UE, misura che avrebbe colpito solo i money transfer usati dagli immigrati, con un chiaro intento discriminatorio e simbolico, più che di reale utilità fiscale. Allo stesso modo, il costo per la richiesta di cittadinanza è stato aumentato, così come le spese per il rinnovo dei permessi di soggiorno, creando una sorta di “patrimoniale” a carico degli stranieri regolari, che si somma alle imposte universali che già pagano. Il risultato? Gli immigrati si trovano a finanziare servizi pubblici a cui spesso accedono meno degli italiani, mentre si cerca di scoraggiare l’invio di parte dei loro risparmi alle famiglie nei Paesi d’origine.

E qui l’ironia si fa amara: certa politica vorrebbe che gli immigrati non inviassero rimesse all’estero [perché “impoveriscono” l’Italia], ma allo stesso tempo non gli concede pieno accesso alle risorse dello Stato, né facilita la loro integrazione o il percorso verso la cittadinanza, nonostante il loro contributo sia fondamentale per il Paese. In pratica, si vorrebbe che gli immigrati lavorassero, pagassero le tasse, consumassero tutto in Italia… ma senza mai diventare davvero parte della società. Una sorta di “miracolo economico a senso unico”: portafoglio aperto, diritti chiusi.

Commenti

  1. Un'analisi che dovrebbe essere letta nei licei. Immagino che coloro che sono contrari a questo discorso, ribatterebbero che c'è tutto un flusso di lavoro a nero che non viene considerato in queste statistiche... come del resto anche il lavoro a nero degli italiani, potrebbe essere la risposta 😉
    Bello bello 🦎

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