GEOPOLITICA DA BANCO


La decisione del Comune di Sesto Fiorentino di interrompere la vendita di prodotti israeliani nelle farmacie comunali [garantendo comunque la somministrazione qualora esplicitamente espresso in ricetta o, suggerire in alternativa il suo generico, ndr] mi porta a riflettere sui rischi profondi che questa scelta comporta dal punto di vista politico, filosofico ed etico. Comprendo perfettamente la sensibilità umanitaria che ha spinto il sindaco e la sua amministrazione a prendere questa posizione, soprattutto di fronte alle sofferenze che vediamo quotidianamente nelle cronache internazionali, ma credo che questa decisione apra scenari preoccupanti che meritano una riflessione approfondita.

Il primo aspetto che mi colpisce è la confusione dei ruoli istituzionali che si genera quando un comune si trasforma di fatto in un attore di politica estera. I comuni dovrebbero occuparsi di servizi locali, urbanistica, welfare di prossimità, non di conflitti internazionali che richiedono competenze diplomatiche che spettano allo Stato centrale. Immaginiamo cosa succederebbe se ogni comune italiano decidesse autonomamente con quali Paesi commerciare o meno: avremmo un mosaico di posizioni contraddittorie che indebolirebbe drammaticamente la coerenza della politica estera italiana. Un comune potrebbe boicottare Israele, un altro la Cina per la questione uigura, un terzo la Russia, un quarto l'Arabia Saudita per lo Yemen, creando una frammentazione che comprometterebbe la credibilità internazionale del nostro Paese.

C'è poi il rischio concreto che questioni internazionali complesse vengano strumentalizzate per scopi di consenso elettorale locale. Le posizioni su Israele-Palestina rischiano di diventare bandierine politiche per distinguersi dagli avversari, semplificando drammaticamente questioni geopolitiche che richiederebbero analisi sofisticate e sfumate. Questo meccanismo può innescare una sorta di gara al rialzo, dove le amministrazioni competono nell'assumere posizioni sempre più estreme per non apparire meno sensibili alle questioni umanitarie, trasformando anche servizi essenziali come le farmacie in terreno di battaglia politica.

Dal punto di vista filosofico, quello che mi preoccupa di più è l'applicazione selettiva di principi che dovrebbero essere universali. Se il motivo del boicottaggio è la violazione del diritto internazionale, perché limitarsi a Israele? La Cina viola sistematicamente i diritti umani nello Xinjiang, la Russia ha invaso l'Ucraina, l'Iran reprime brutalmente le proteste, la Turchia occupa Cipro del Nord, e potrei continuare. Se i principi etici sono davvero universali, dovrebbero essere applicati universalmente, altrimenti si rivela che dietro la facciata morale si nascondono considerazioni politiche particolari, e questo mina alla radice la credibilità dell'argomentazione etica.

Mi interrogo anche sulla legittimità democratica di questa decisione. Il sindaco parla a nome di tutti i cittadini di Sesto Fiorentino, ma è ragionevole pensare che tra questi esistano opinioni diverse sulla questione israelo-palestinese. Utilizzare le istituzioni pubbliche per esprimere una posizione politica specifica significa di fatto imporre a tutti i cittadini una linea che potrebbero non condividere. Le istituzioni pubbliche possono essere utilizzate per esprimere posizioni controverse, oppure dovrebbero rimanere neutrali su questioni che dividono profondamente l'opinione pubblica? È un dilemma che tocca il cuore della democrazia rappresentativa.

Dal punto di vista etico, il boicottaggio presenta problemi ancora più profondi. Implica una forma di responsabilità collettiva che penalizza tutti i cittadini israeliani, inclusi quelli che si oppongono alle politiche del loro governo, per le azioni delle autorità. Questo principio viola quello che considero un pilastro dell'etica moderna: la responsabilità individuale. Non possiamo giudicare una persona per le azioni del suo governo, così come non vorremmo essere giudicati noi per le azioni dei nostri governanti.

Inoltre, il boicottaggio colpisce settori come quello farmaceutico e medico, dove la collaborazione internazionale è essenziale per il progresso scientifico e la cura dei pazienti. Mi chiedo: è eticamente accettabile penalizzare la ricerca e l'innovazione medica per ragioni politiche? Possiamo sacrificare il benessere dei pazienti per esprimere disapprovazione politica? Le farmacie comunali svolgono un servizio pubblico essenziale, e limitare la disponibilità di prodotti per ragioni politiche significa subordinare la funzione di servizio pubblico agli obiettivi politici dell'amministrazione.

Lo stesso sindaco ammette che si tratta di "una goccia nel mare". Se l'impatto pratico è minimo, l'azione diventa principalmente simbolica. Ma è giustificabile utilizzare le istituzioni pubbliche e compromettere servizi ai cittadini per azioni puramente simboliche? Questo mi sembra particolarmente problematico quando si tratta di servizi sanitari, dove ogni limitazione può avere conseguenze concrete sulla salute delle persone.

Il boicottaggio basato sulla nazionalità stabilisce inoltre un precedente pericoloso per forme di discriminazione. Se è accettabile discriminare prodotti israeliani, diventa difficile tracciare una linea di principio che impedisca discriminazioni simili verso altri gruppi o nazionalità. Questo meccanismo può aprire la strada a forme di xenofobia istituzionalizzata, un rischio che dovremmo prendere molto seriamente.

Eppure, non voglio sminuire la sensibilità umanitaria che ha guidato questa decisione. Credo però che esistano alternative più etiche ed efficaci per esprimere solidarietà verso chi soffre. L'amministrazione potrebbe sostenere concretamente organizzazioni umanitarie che operano sul campo, promuovere progetti di gemellaggio con comunità palestinesi, organizzare eventi di sensibilizzazione e raccolta fondi. Queste azioni avrebbero un impatto umanitario diretto senza i problemi etici del boicottaggio.

Si potrebbe anche promuovere il dialogo e la comprensione reciproca, organizzando conferenze, dibattiti, incontri culturali che favoriscano la comprensione delle diverse posizioni sul conflitto israelo-palestinese. Questo approccio sarebbe più coerente con i valori democratici di pluralismo e dialogo, e più utile per costruire ponti anziché muri.

Un'altra strada potrebbe essere quella di sostenere specificamente organizzazioni israeliane e palestinesi che lavorano insieme per la riconciliazione e la pace. Esistono molte realtà di questo tipo, spesso ignorate dai media, che fanno un lavoro prezioso per costruire comprensione reciproca e trovare soluzioni condivise. Sostenerle sarebbe più costruttivo del boicottaggio e più coerente con l'obiettivo dichiarato di contribuire alla risoluzione del conflitto.

In definitiva, credo che la decisione di Sesto Fiorentino, pur nascendo da motivazioni comprensibili, presenti rischi significativi per l'integrità istituzionale, il pluralismo democratico e i principi etici fondamentali. La sensibilità verso le sofferenze umane è un valore prezioso che va coltivato, ma deve essere canalizzata attraverso azioni che rispettino la complessità delle questioni internazionali e i limiti del mandato istituzionale locale. La democrazia si rafforza quando le istituzioni mantengono i propri ruoli specifici e quando l'impegno etico si traduce in azioni concrete ed efficaci, piuttosto che in simbolismi che rischiano di dividere più che unire le nostre comunità locali.

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