LA STAGIONE DELL'AMORE VIENE E VA

Questa bustina nasce da uno scambio di vedute con un amico su X [l’ex Twitter]. Purtroppo è interista, ma nessuno è perfetto, giusto?

La breve discussione ruotava attorno alla promozione mediatica di Tommaso Cerno, attuale direttore de Il Tempo, testata schierata apertamente a sostegno della destra di Governo. Cerno è, per certi versi, un personaggio da tutte le stagioni: riesce a dormire sonni tranquilli nonostante un passato [e un presente] costellato di contraddizioni. Una delle più evidenti è la sua omosessualità—una condizione che, secondo l’universo destrorso, lo collocherebbe tra gli “anormali” in stile Vannacci. Uno di quelli a cui, per questo solo motivo, non dovrebbe essere riconosciuto alcun diritto, riservato com’è ai cosiddetti “normali”. Ciononostante, a Cerno verrà affidata dalla rete influenzata da un Governo di destra la conduzione di uno spazio televisivo.

A un certo punto dello scambio è saltata fuori la “carta FINI”, giocata con abile tempismo dall'interista per dimostrare come non vi sia alcuna “inconciliabilità” tra l’essere omosessuali e l’adesione a una visione politica di destra, ricordando una sorta di "right - pride arcobaleno" durante quella stagione politica. 
Ma cosa ha rappresentato—o avrebbe dovuto rappresentare—Fini per il mondo LGBTQ+?

Parlando di Gianfranco Fini e della sua era politica, viene in mente quella particolare speranza di rinnovamento che per un certo periodo ha attraversato la destra italiana, un tentativo quasi disperato di conciliare l'allora ritenuto inconciliabile: da una parte l'eredità pesante del Movimento Sociale Italiano con tutte le sue radici conservatrici e nazionaliste, dall'altra il bisogno urgente di aprirsi a un mondo che cambiava velocemente e che includeva anche la comunità LGBTQ+. 
È una tensione che rivela qualcosa di profondo nella cultura di destra, una contraddizione che gli storici e i sociologi hanno iniziato a studiare con maggiore attenzione negli ultimi anni. Per esempio, si è evidenziato come la destra, nonostante tutta la sua retorica omofoba e maschilista, abbia sempre avuto al suo interno figure con identità sessuali ambigue o dichiarate, e come abbia sviluppato un'estetica che spesso si nutriva di un certo homoerotismo, quasi come se ci fosse una dimensione nascosta, non detta, che contraddiceva l'ideologia ufficiale.

Ma questa ambiguità interna, per quanto interessante dal punto di vista culturale e antropologico, non si è mai tradotta in un reale riconoscimento dei diritti delle persone LGBTQ+, anzi, se guardiamo alla destra politica italiana contemporanea, soprattutto sotto il governo Meloni, vediamo come si siano adottate politiche che non solo non riconoscono questi diritti, ma addirittura soffocano le libertà individuali e i diritti civili, relegando il nostro Paese agli ultimi posti in Europa per tutela delle persone LGBTQ+. 

Dal punto di vista filosofico, questa situazione ci porta dritti al cuore del concetto di ipocrisia politica, quella dinamica per cui la retorica dell'inclusione e il riconoscimento formale si scontrano brutalmente con pratiche e leggi che mantengono o addirittura accentuano le discriminazioni. La destra italiana sembra aver perfezionato una strategia di doppio binario: da un lato utilizza figure LGBTQ+ come simboli di modernità e apertura, come nel caso di alcuni esponenti politici o di rappresentanti visibili che vengono messi in vetrina quando serve, dall'altro continua imperterrita a sostenere normative e discorsi pubblici che negano diritti fondamentali, come il riconoscimento delle famiglie omogenitoriali, una lotta efficace contro l'omotransfobia e la protezione legale contro la violenza omolesbobitransfobica.

Questa ipocrisia si manifesta in modo particolarmente evidente nella scelta del governo di non firmare la dichiarazione europea a favore delle politiche per le comunità LGBTQ+, una decisione che è stata motivata con il timore di "derive ideologiche" legate al cosiddetto "gender", un termine che ormai viene usato come una sorta di spauracchio universale per giustificare il rifiuto di riconoscere le identità di genere e le diversità sessuali, come se pronunciare questa parola potesse evocare chissà quali catastrofi sociali. È interessante notare come questo approccio rifletta quello che i sociologi chiamano "moral panic", quel processo attraverso cui una condizione o un gruppo di persone viene definito come una minaccia esistenziale ai valori della società, creando un clima di paura e ostilità che giustifica misure discriminatorie.

Sociologicamente parlando, questa posizione politica contribuisce attivamente a mantenere un clima di ostilità e discriminazione, alimentando un discorso pubblico che troppo spesso sfocia in hate speech e violenze verbali e fisiche contro le persone LGBTQ+. Il linguaggio utilizzato dai vertici politici, inclusa la stessa Presidente del Consiglio, non è neutro ma contribuisce concretamente a diffondere stereotipi e pregiudizi, rafforzando un ordine sociale eteronormativo e binario che esclude e marginalizza sistematicamente chi non rientra nei parametri tradizionali della famiglia e dell'identità di genere. Politicamente, questa strategia serve ovviamente a consolidare un consenso elettorale basato su valori conservatori e nazionalisti, ma lo fa a costo di negare diritti fondamentali e di alimentare divisioni sociali profonde che avranno conseguenze a lungo termine sulla coesione sociale del paese.

Il caso del governo Meloni è particolarmente emblematico perché rappresenta un laboratorio perfetto di questa contraddizione. Da una parte abbiamo un governo che include figure che potrebbero essere considerate simboli di apertura e modernità, dall'altra vediamo politiche concrete che rappresentano un passo indietro significativo nella tutela dei diritti LGBTQ+. La scelta di non firmare quella dichiarazione europea non è stata un gesto isolato ma si inserisce in una strategia più ampia che utilizza la questione dei diritti LGBTQ+ come elemento di differenziazione rispetto all'Europa, costruendo una narrativa che presenta l'Unione Europea come portatrice di valori estranei alla tradizione italiana, utilizzando i diritti delle minoranze sessuali come simbolo di questa presunta estraneità.

Culturalmente, la destra italiana si trova così a dover gestire una doppia eredità particolarmente complessa: quella di un passato che ha spesso perseguitato o nascosto le diversità sessuali, e quella di una contemporaneità in cui la società civile chiede sempre più inclusione e rispetto. Il risultato è una narrazione inevitabilmente ambigua e contraddittoria, dove da una parte la presenza di figure LGBTQ+ nella destra viene strumentalizzata per costruire un'immagine di apertura e modernità, mentre dall'altra, nelle scelte concrete e quotidiane, si continua ostinatamente a ostacolare qualsiasi progresso verso una piena uguaglianza. Questa ambiguità riflette un problema filosofico e politico più ampio che caratterizza molte democrazie contemporanee: la difficoltà di conciliare identità collettive tradizionali con la necessità di riconoscere e tutelare le differenze individuali, un tema che diventa sempre più centrale man mano che le società si fanno più plurali e complesse.

La questione assume una dimensione ancora più interessante se la inseriamo nel contesto internazionale, perché mentre in molti paesi occidentali la destra ha fatto, sia pure con resistenze e contraddizioni, passi significativi verso il riconoscimento dei diritti LGBTQ+ - pensiamo al caso della Germania con la CDU o della Francia con Les Républicains - in Italia questo processo sembra completamente bloccato, quasi congelato in una dinamica che sembra più adatta agli anni Ottanta che al 2025. Questa specificità italiana può essere spiegata con vari fattori: l'influenza ancora molto forte della Chiesa Cattolica, la particolare storia della destra italiana con il suo legame mai completamente risolto con il passato fascista, la struttura peculiare del nostro sistema politico, ma è importante notare che questa specificità non è necessariamente permanente e potrebbe cambiare sotto la pressione di fattori interni ed esterni.

Le conseguenze di questa arretratezza non sono solo simboliche ma hanno un impatto concreto sull'immagine internazionale del paese. In un contesto globale in cui i diritti civili sono sempre più considerati un indicatore affidabile di democrazia e modernità, l'arretratezza italiana in questo campo contribuisce a una percezione negativa del paese negli ambienti internazionali, e questo è particolarmente problematico per un paese come l'Italia che ha sempre cercato di giocare un ruolo importante nella politica internazionale. La contraddizione tra le ambizioni internazionali e le politiche interne sui diritti civili rappresenta un elemento di debolezza strutturale che potrebbe avere conseguenze significative a lungo termine.

Ma c'è anche un elemento di speranza che viene dalla società civile italiana, che ha dimostrato ripetutamente di essere più aperta e inclusiva rispetto alla classe politica. I giovani italiani, anche quelli che votano per partiti di destra, mostrano atteggiamenti molto più aperti sui temi dei diritti civili rispetto alle generazioni precedenti, e questo cambiamento generazionale potrebbe portare, nel medio-lungo termine, a una revisione delle posizioni della destra sui temi LGBTQ+. Tuttavia, questo processo non è automatico e dipenderà dalla capacità della leadership di destra di adattarsi ai cambiamenti della propria base elettorale, cosa che finora non sembra essere successa.

Il ruolo dei media in tutto questo è cruciale e spesso sottovalutato. In Italia, il controllo dei media da parte di forze politiche conservative ha contribuito significativamente a mantenere un clima di ostilità verso le persone LGBTQ+, limitando la diffusione di informazioni corrette e favorendo invece la diffusione di stereotipi e pregiudizi. Questo aspetto è fondamentale perché dimostra come la questione dei diritti LGBTQ+ non sia solo una questione di politica elettorale, ma anche di controllo dell'informazione e di formazione dell'opinione pubblica, e la capacità della destra di mantenere il controllo del discorso pubblico su questi temi è un fattore importante nel perpetuare la discriminazione.

Guardando ai possibili scenari futuri, possiamo immaginare tre direzioni principali. Il primo è quello del cambiamento generazionale, dove la pressione dei giovani elettori più aperti sui temi dei diritti civili porterebbe gradualmente a una trasformazione delle posizioni della destra. Il secondo è quello della radicalizzazione, dove di fronte alle pressioni per il cambiamento, la destra italiana potrebbe scegliere di accentuare le proprie posizioni conservative, utilizzando i diritti LGBTQ+ come elemento di mobilitazione della propria base elettorale più tradizionalista. Il terzo è quello della normalizzazione, in cui la destra italiana arriverebbe gradualmente ad accettare i diritti LGBTQ+ come parte dell'agenda politica mainstream, un processo che potrebbe essere facilitato dalla presenza di figure LGBTQ+ all'interno della destra stessa.

La vicenda solleva anche questioni più ampie sulla natura della democrazia contemporanea. Come abbiamo osservato, è possibile avere democrazie che rispettano le procedure elettorali ma non garantiscono pienamente i diritti delle minoranze, e il caso italiano potrebbe essere interpretato proprio in questa chiave: un sistema democratico che funziona dal punto di vista procedurale ma che non garantisce pienamente i diritti di tutte le minoranze. Questa situazione pone questioni fondamentali sulla qualità della democrazia italiana e sulla sua capacità di tutelare i diritti fondamentali di tutti i cittadini.

In definitiva, la vicenda di Fini e delle successive scelte di governo mette in luce non solo le contraddizioni interne alla destra italiana, ma anche l'ipocrisia di una politica che usa la retorica dell'inclusione come una facciata di facile consumo, mentre nelle pratiche concrete e nelle leggi continua imperterrita a negare diritti fondamentali alle persone LGBTQ+. Il progetto di modernizzazione della destra italiana può essere considerato, almeno per quanto riguarda i diritti civili, un fallimento sostanziale, e questo fallimento non è solo un problema per la destra, ma per l'intera democrazia italiana, perché una democrazia che non garantisce pienamente i diritti di tutte le minoranze è una democrazia incompleta, e questo ha conseguenze che vanno ben oltre la specifica questione dei diritti LGBTQ+.

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