EMPATIA DIFFERENZIATA

Ha scatenato più indignazione da parte del Governo e della destra in generale - e, non solo alla destra - il bombardamento della Chiesa cristiana di Gaza che non i quasi due anni di orrore e massacro della popolazione inerme palestinese, e questa sproporzione nella reazione emotiva e politica rivela qualcosa di profondamente inquietante sulla natura selettiva della nostra compassione collettiva e sui meccanismi attraverso cui costruiamo la gerarchia del dolore umano. C'è una fenomenologia dell'indignazione che meriterebbe di essere esaminata con la stessa attenzione che riserviamo alle grandi questioni filosofiche, perché in fondo ci troviamo di fronte a una manifestazione contemporanea di quello che possiamo chiamare la "banalità del male", non nel senso dell'esecutore burocratico che compie azioni atroci senza pensare, ma nel senso della società che normalizza l'orrore quando questo non tocca i propri simboli identitari. Il bombardamento di una chiesa cristiana diventa improvvisamente un fatto degno di nota, un evento che rompe l'indifferenza mediatica e politica, non perché rappresenti un'escalation nell'orrore - che in verità prosegue ininterrottamente da mesi - ma perché tocca un codice simbolico che risuona nella sensibilità occidentale e cristiana. È come se esistesse una geografia emotiva del mondo in cui certi luoghi, certi edifici, certi corpi fossero più degni di lutto e indignazione di altri, una cartografia morale che riflette non la realtà del dolore ma la prossimità culturale e religiosa di chi osserva. Questo fenomeno non è nuovo nella storia umana, ma assume connotati particolarmente stranianti nell'era della comunicazione globale, quando teoricamente dovremmo essere esposti a una rappresentazione più democratica della sofferenza umana. Invece assistiamo a una sorta di apartheid emotivo in cui la morte di civili palestinesi viene metabolizzata come statistica, come inevitabile "danno collaterale" di un conflitto complesso, mentre il danneggiamento di un edificio religioso cristiano provoca un sussulto di coscienza che era rimasto sopito davanti a ospedali bombardati, scuole distrutte, campi profughi rasi al suolo. Politicamente, questa selettività rivela i meccanismi attraverso cui il potere costruisce il consenso e l'indifferenza, utilizzando l'identificazione culturale e religiosa come filtro per determinare cosa meriti attenzione pubblica e cosa possa essere relegato nel rumore di fondo dell'informazione. La destra italiana, ma non solo italiana, ha sempre utilizzato il cristianesimo come marcatore identitario più che come fonte di valori etici universali, trasformando la religione dell'amore e della misericordia in uno strumento di distinzione e esclusione. Quando si indigna per il bombardamento di una chiesa cristiana a Gaza, non sta difendendo i principi cristiani di giustizia e compassione per tutti gli oppressi, ma sta proteggendo un simbolo della propria appartenenza culturale, un elemento del proprio patrimonio identitario che si sente minacciato. È un cristianesimo tribale, non universale, che riconosce il sacro solo quando porta i propri colori e parla la propria lingua. Dal punto di vista filosofico, ci troviamo di fronte a quello che potremmo chiamare un "particolarismo morale" che contraddice ogni pretesa di universalismo etico, un fenomeno che mette in crisi l'idea illuminista di una ragione morale capace di trascendere i confini culturali e religiosi per riconoscere l'uguale dignità di ogni essere umano. Si parla del volto dell'altro come di un appello etico primordiale che precede ogni categorizzazione culturale o religiosa, ma la reazione selettiva all'orrore di Gaza dimostra quanto sia difficile mantenere questa purezza etica quando l'altro non ci assomiglia, quando non condivide i nostri simboli, quando la sua sofferenza non può essere facilmente integrata nel nostro sistema di riferimenti culturali. C'è una violenza epistemica in questo processo di selezione emotiva, una forma di dominio che si esercita attraverso l'attenzione differenziale, decidendo quali vite meritino di essere piante e quali possano essere dimenticate senza conseguenze per la coscienza collettiva. Culturalmente, questo fenomeno riflette la persistenza di una mentalità coloniale che sopravvive alle forme politiche del colonialismo, una mentalità che continua a organizzare il mondo in centri e periferie, in vite che contano e vite che non contano, in dolori degni di attenzione e dolori che possono essere ignorati. La chiesa cristiana di Gaza diventa improvvisamente visibile perché rappresenta un'estensione del "noi" occidentale e cristiano in terra straniera, mentre i palestinesi musulmani rimangono confinati nella categoria dell'"altro" la cui sofferenza può essere al massimo compatita ma non davvero compresa o condivisa. È una forma di apartheid emotivo che rivela quanto sia fragile la nostra pretesa di umanesimo universale e quanto sia profondamente radicata la tendenza a riconoscere l'umanità dell'altro solo quando questa si presenta in forme familiari e rassicuranti.

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