IL PREZZO DELL'INDIGNAZIONE

La memoria politica italiana, quella straordinaria capacità di ricordare tutto e niente a seconda delle convenienze del momento! C'è qualcosa di profondamente comico, se non fosse anche tragico, nel guardare chi ieri si strappava le vesti per due centesimi di euro sui sacchetti di plastica e oggi contempla con olimpica serenità la cifra di 114.000 euro al giorno bruciati in un progetto che ha del surreale. È come se avessimo sviluppato una sorta di daltonismo selettivo per i colori politici dei soldi pubblici: quando sono spesi da quelli che non ci piacciono diventano improvvisamente fosforescenti, impossibili da ignorare, mentre quando li spende la nostra parte sembrano trasparenti, quasi invisibili. I famosi due centesimi per i sacchetti erano diventati il simbolo della tassazione vessatoria, la prova provata che "questi" volevano solo mettere le mani nelle tasche degli italiani, una sorta di rapina legalizzata ai danni delle famiglie che dovevano già fare i conti con la crisi. Si organizzavano manifestazioni, si scrivevano post indignati sui social, si parlava di "nuovo balzello" come se fosse stata reintrodotta la gabella sul sale, e ogni volta che qualcuno pagava quei due soldi al supermercato era come un piccolo momento di resistenza civile contro il regime della plastica a pagamento. Ma ora che parliamo di cifre che farebbero impallidire un piccolo bilancio comunale, spese per centri che esistono più sulla carta e nei comunicati stampa che nella realtà operativa, ecco che scende il silenzio, quello stesso silenzio che di solito accompagna le cene di famiglia quando qualcuno tocca argomenti spinosi. È affascinante questa capacità di modulare l'indignazione in base al mittente della spesa: sembra che i nostri neuroni abbiano sviluppato una sorta di filtro automatico che valuta non tanto l'entità del danno economico quanto la casacca di chi lo produce. Centoquattordicimila euro al giorno, pensateci un momento, sono quasi cinque stipendi medi annuali italiani che se ne vanno ogni ventiquattro ore per mantenere in vita una struttura che ha dell'onirico, un po' come quei castelli di sabbia che costruivamo da bambini sapendo benissimo che la prima onda li avrebbe spazzati via, ma continuavamo comunque perché l'importante era il gesto, non il risultato. E mentre i sacchetti di plastica almeno avevano una loro funzione pratica, per quanto discutibile dal punto di vista ambientale, qui parliamo di soldi che volano via per progetti che sembrano usciti da un manuale di come non gestire le risorse pubbliche. Ma la cosa più divertente, se possiamo permetterci di ridere in una situazione del genere, è che gli stessi che vedevano complotti globalisti dietro la richiesta di portarsi la borsina da casa ora non trovano nulla di strano nel fatto che si spendano cifre astronomiche per soluzioni che non risolvono nulla, anzi, spesso complicano tutto. È come se avessimo due diverse unità di misura per scandalo: una per i microbalzelli che toccano la vita quotidiana e un'altra, molto più permissiva, per le megaspese che restano nell'astratto dei bilanci pubblici. Forse è una questione di tangibilità: due centesimi li senti nel portafoglio, li vedi uscire dalle tue tasche, mentre centoquattordicimila euro al giorno sono una cifra così grande da diventare quasi irreale, come i buchi neri nell'astronomia, troppo grandi per essere realmente compresi dalla mente umana. O forse è semplicemente che abbiamo sviluppato una forma di schizofrenia collettiva per cui riusciamo a tenere separate le nostre convinzioni economiche dalle nostre appartenenze politiche, come quei prestigiatori che tengono più palline in aria contemporaneamente senza che si scontrino mai. Il risultato è che viviamo in un paese dove si può passare dall'essere paladini del risparmio pubblico a sostenitori silenziosi dello spreco, tutto nel giro di una legislatura, senza che nessuno sembri notare la contraddizione. È un po' come quei film dove il protagonista si sveglia in una realtà parallela e tutti fanno finta che sia normale, solo che qui non c'è nessun risveglio finale che rimette tutto a posto. E così continuiamo a navigare in questo mare di incoerenze, dove l'indignazione è un bene di lusso che ci possiamo permettere solo quando fa comodo, mentre il buonsenso economico diventa una variabile dipendente dall'appartenenza politica, in un gioco che sarebbe divertente se non fosse fatto con i soldi di tutti noi.

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