TERRA, ULULÀ


Oggi è il 20 luglio 1969, il giorno in cui l’umanità, notoriamente specializzata in guerre, discussioni da bar e risse tra parenti, ha fatto qualcosa di incredibilmente figo: è atterrata sulla Luna. Neil Armstrong, con passo incerto ma stile da Oscar, scende dalla navicella e spara la frase che aveva sicuramente provato davanti allo specchio più di una volta: “Un piccolo passo per l’uomo, un gigantesco balzo per l’umanità.” Peccato che si dimentica un articolo per strada, e suona tipo “piccolo passo uomo balzo bum”, ma dai, era a 380.000 km da casa, in diretta mondiale, dentro una scatola di latta che se sbagliavi un tasto diventava un tostapane cosmico. Nel frattempo, gli americani tirano un sospiro di sollievo: dopo anni passati a prendersi mazzate spaziali dai sovietici (“Noi il primo uomo!” “Noi il primo satellite!” “Noi il primo cane con curriculum!”), finalmente possono dire “Noi? Noi abbiamo mandato tre tizi su una palla di roccia morta. E li abbiamo anche fatti tornare.” Il merito? JFK, che nel ‘61 se ne esce con un discorso motivazionale alla “compra due materassi e paghi uno”, promettendo la Luna quando la NASA faceva fatica a lanciare un frullatore senza farlo esplodere. Ma niente panico: bastano solo 400.000 cervelli spremuti come limoni, un razzo alto come un condominio, che beve più carburante di una nave da crociera in preda all’ansia, e via, pronti a partire verso l’ignoto, sperando che il GPS non si perda. Il Saturn V parte, fa un casino che nemmeno un concerto metal con le trombe dell’Apocalisse, e funziona. Funziona davvero. Una, due, sei volte. Quando oggi basta un ascensore che non arriva per farci perdere fiducia nell’umanità, loro andavano avanti e indietro dalla Luna come fosse la pizzeria sotto casa. Poi, come ogni giocattolo nuovo, ci si stufa: dopo Apollo 17 la Luna diventa l’equivalente cosmico della cyclette in salotto, quella che dopo due settimane serve solo per appenderci i jeans. I fondi spariscono, i politici si concentrano su problemi più “terrestri”, tipo l’inflazione, e l’URSS si butta su hobby più economici come la vodka e i sottomarini nucleari. E lì, nel silenzio cosmico, arrivano loro: i complottisti. Gli unici capaci di guardare una foto sgranata del ‘69 e gridare “Ah-ha!” con la convinzione di un investigatore in un telefilm di serie Z. “La bandiera sventola!” – No, caro, è fisica. “Non ci sono stelle!” – Bravo, prova tu a fare una foto del cielo con un faro puntato negli occhi. “Le ombre non combaciano!” – Già, perché sulla Luna si sa, le leggi della prospettiva vanno in ferie. E la chicca? Pensare che 400.000 persone abbiano mantenuto il segreto, quando manco tua zia riesce a non spoilerare i regali di Natale. E i russi? Zitti. Avrebbero potuto gridare al fake, e invece silenzio assoluto. Per forza: sapevano benissimo che era tutto vero. Ma oggi, grazie a internet, la fiera del grottesco continua: zoom sulle foto lunari, analisi da CSI dei poveri, gente che cerca microfoni nascosti, cavi, la mano di Kubrick che sistema l’inquadratura. Nel frattempo Elon Musk spara cabriolet nello spazio come fossero coriandoli e i cinesi mandano robot sulla Luna come se fosse Amazon Prime, ma c’è ancora chi dice “Nel ‘69? No dai, non avevano la tecnologia!” – detto da gente che oggi litiga con Siri e non sa accoppiare le cuffiette Bluetooth. Ora si riparte: il programma Artemis promette un nuovo allunaggio, stavolta con donne, minoranze, forse anche qualcuno in diretta su TikTok che balla un reel in orbita. I complottisti? Già pronti a sbraitare: “È troppo woke! È propaganda! È CGI fatta coi deepfake gravitazionali e i droni dei rettiliani!” Stavolta ci saranno il 4K, i selfie spaziali e il Wi-Fi lunare, ma tranquilli: qualcuno troverà comunque il modo di dire che è tutto un ologramma. Eppure, nonostante tutto, l’allunaggio resta quel magico momento in cui, per cinque minuti, l’umanità ha smesso di essere un gruppo di adulti litigiosi e ha fatto qualcosa di veramente straordinario. Poi ha messo il razzo in garage, ha acceso la TV, e ha ricominciato a discutere sul conto del ristorante. Perché sì, siamo capaci di conquistare la Luna, ma restiamo campioni mondiali nell’arte di sabotarci da soli. Ed è triste, ma anche, ammettiamolo, spassosissimo.

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