AVVOCATI DEL DIAVOLO

l'Italia! Terra di contraddizioni sublimi dove persino le occupazioni abusive diventano materia prima per sketch comici che farebbero impallidire Totò e Peppino. Il nostro bel Paese ci regala l'ennesima perla di incoerenza politica: da una parte il Leoncavallo milanese che viene sgomberato con la solerzia di un'operazione militare, dall'altra CasaPound romana che se ne sta tranquilla nel suo nido, protetta da un paradosso sociale che neanche Pirandello avrebbe saputo immaginare meglio. Ma andiamo con ordine, se di ordine si può parlare in questo carnevale permanente che è la nostra politica.

Il dibattito sui social network ci catapulta direttamente nel vortice di questa commedia degli equivoci, dove Ilaria Salis, ex detenuta in Ungheria diventata europarlamentare di sinistra, si ritrova involontariamente a fare da scudo ideologico per la sopravvivenza di CasaPound. È come se Bertolt Brecht avesse riscritto "L'opera da tre soldi" ambientandola nei centri sociali contemporanei, con tanto di colonna sonora di Piero Pelù in sottofondo. La Salis, paladina del diritto all'occupazione di spazi pubblici inutilizzati, diventa senza saperlo la miglior alleata di quelli che dovrebbero essere i suoi nemici politici giurati. Un capolavoro di eterogenesi dei fini che farebbe sorridere persino Max Weber nella sua tomba.

Il caso del Leoncavallo ci offre poi una lezione di pragmatismo immobiliare condita con quel pizzico di populismo che non guasta mai quando si tratta di conquistare consenso popolare. L'edificio milanese, ci spiegano con dovizia di dettagli i bene informati, è un immobile privato di oltre 10.000 metri quadri occupato dal 1994, trent'anni durante i quali la famiglia proprietaria Cabassi ha dovuto sobbarcarsi TARI e spese di manutenzione mentre gli occupanti organizzavano eventi "culturali" senza mai pensare di firmare un contratto d'affitto. Risultato? Lo Stato italiano si ritrova con un conto da 3 milioni di euro da pagare e il governo Meloni che può finalmente giocare la carta della "legalità ripristinata" con tanto di fanfare e dichiarazioni altisonanti. Brava Giorgia, un bell'applauso per la coerenza! Peccato che la stessa solerzia non si applichi con ugual misura a tutte le occupazioni, ma questo è un dettaglio che evidentemente sfugge ai più distratti.

CasaPound, invece, se ne sta bella comoda nel suo edificio pubblico romano, 2.500 metri quadri occupati dal 2003 che ospitano non solo l'associazione neofascista ma anche una ventina di famiglie italiane in difficoltà, complete di bambini e problemi sociali al seguito. Ed è qui che il plot si infittisce come una zuppa di legumi dimenticata sul fuoco: sgomberare CasaPound significherebbe aprire il vaso di Pandora di oltre 100 immobili pubblici occupati, per un totale di 10.000 persone da ricollocare. Il Comune di Roma dovrebbe trovare alloggi alternativi, ma si sa, con i fondi pubblici siamo sempre in modalità "risparmio energetico", quindi CasaPound resta lì, beata e indisturbata, mentre lo Stato paga utenze e manutenzione senza battere ciglio. Un esempio lampante di come l'inefficienza burocratica possa trasformarsi nel miglior sistema di protezione per chi sa sfruttare le contraddizioni del sistema.

La situazione paradossale colpisce nel segno come una freccia scagliata da un arciere ubriaco ma miracolosamente preciso: la Salis che difende il diritto di occupazione diventa il pretesto perfetto per giustificare l'intoccabilità di CasaPound, mentre il governo di destra, che dovrebbe considerarla il diavolo in persona, finisce per darle ragione senza nemmeno rendersene conto. È come assistere a un balletto surreale dove i partner si scambiano continuamente di ruolo, mentre il pubblico applaude e fischia senza capire bene chi sta recitando cosa. Gli hashtag volano sui social come coriandoli avvelenati, mentre qualche commentatore ben pensante ci ricorda che preferisce spendere i soldi dello Stato per famiglie indigente piuttosto che per "eventi culturali" del Leoncavallo, affermazione che puzza di campagna elettorale permanente a chilometri di distanza.

Il risultato è un circo mediatico dove la legalità diventa un concetto variabile come un elastico di gomma lasciato troppo al sole, le ideologie si intrecciano come spaghetti scotti e Ilaria Salis si ritrova incoronata regina involontaria di questo teatrino dell'assurdo. La sinistra viene sgomberata con tanto di fanfare e comunicati stampa, la destra viene protetta da un paradosso sociale che neanche Kafka avrebbe saputo immaginare meglio, e nel frattempo il cittadino comune assiste a questo spettacolo con la stessa espressione smarrita di chi cerca di capire le regole del cricket guardando una partita per la prima volta. I like e i retweet si contano ancora sulle dita di una mano, ma una cosa è certa: in Italia, tra occupazioni e sgomberi, l'unica cosa che non manca mai è lo spettacolo, anche quando nessuno ha chiesto di comprare il biglietto per assistervi. E mentre la politica italiana continua a ballare sulle contraddizioni come un equilibrista cieco su un filo di seta, il resto del mondo ci guarda con quella mista di compassione e divertimento che si riserva ai parenti stravaganti durante le riunioni di famiglia.

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