C'È IL TRUCCO, MA NON C'È L'INGANNO

Sulla tragedia, così cruda ed evidente, della popolazione civile inerme di Gaza, il giornalismo italiano sta mostrando tutto il suo cinismo. Nell'articolo de "Il Riformista", l'autore si comporta come un abile prestigiatore davanti al suo pubblico: prende una fotografia fra migliaia che ha scartato o ignorato, usandola come prova che la narrazione giornalistica su Gaza sia falsa, aberrata, piegata a un movente ideologico.

La metafora del prestigiatore che nasconde il coniglio sotto la giacca luccicante assume contorni ancora più cinici e dolorosi quando si considera che l'articolo de Il Riformista, nel mettere in dubbio l'autenticità della fotografia postata da Cecilia Sala che ritraeva un padre davanti al cadavere del figlio, stava in realtà compiendo un'operazione di distrazione di massa dalla realtà ineluttabile di Gaza: quella sequenza interminabile di morti, distruzioni e sofferenze che da mesi scorre davanti ai nostri occhi attraverso migliaia di testimonianze, video, fotografie e reportage. 

Come i negazionisti dello sbarco sulla Luna che si perdono nell'analisi maniacale di singoli fotogrammi per non dover affrontare la monumentale evidenza dello sbarco, così il giornalista si è lanciato nella dissezione tecnica di ombre e pixel per non dover guardare in faccia la realtà sistematica del massacro, trasformando il dolore documentato in un problema di autenticità fotografica, come se la questione centrale fosse la veridicità di quella singola immagine e non l'apocalisse quotidiana che Gaza sta vivendo sotto i bombardamenti. 

La giacca luccicante qui è proprio questa presunta competenza nell'analisi forense delle immagini, questo linguaggio pseudoscientifico che dovrebbe conferire credibilità al dubbio metodico, mentre il coniglio che viene fatto sparire è l'intera realtà palestinese: quella verità scomoda che disturba gli equilibri geopolitici e le narrazioni ufficiali, quella sequenza infinita di padri che piangono i loro figli, di madri che scavano tra le macerie, di bambini che non torneranno mai più a giocare per le strade di quello che una volta erano le loro case. 

Il prestigiatore-giornalista sa perfettamente che il suo pubblico preferisce concentrarsi sui dettagli tecnici piuttosto che affrontare l'enormità morale di ciò che sta accadendo, e così continua a far danzare le sue argomentazioni sulla presunta artificiosità di una singola fotografia mentre migliaia di altre immagini, altrettanto strazianti e altrettanto vere, continuano ad accumularsi come testimonianze di una tragedia che nessuna analisi delle ombre potrà mai cancellare o smentire. Questo lascia un pubblico sempre più assuefatto alla negazione sistemica della sofferenza altrui, sempre più incapace di riconoscere la propria complicità in un silenzio che è diventato esso stesso una forma di violenza.

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