IL COME E IL PERCHÉ
Ogni progetto, per esistere, deve svilupparsi entro un perimetro di regole. Queste regole, immutabili e irragirabili, costituiscono l’ossatura della realtà: sono i limiti entro i quali tutto si muove. La Scienza, con i suoi metodi di indagine, ha il compito di esplorare questo perimetro, non di superarlo. Non le interessa ciò che sta al di là, perché non appartiene al suo linguaggio né alle sue possibilità operative.
Da qui nasce una prima grande questione: quando la Scienza esclude Dio dai propri modelli, non nega l’esistenza della divinità in senso assoluto. Semplicemente afferma che Dio non è necessario per spiegare il funzionamento del mondo. Non è una dichiarazione di ateismo, ma di neutralità metodologica. È come un calciatore che, giocando una partita, non si interroga su chi abbia inventato il regolamento: gli basta conoscere le regole e saperle applicare. La Scienza è concentrata sul gioco, non sull’autore del gioco.
Eppure, man mano che essa avanza, svela regole sempre più raffinate, eleganti, ordinate. È questo ordine, questa razionalità che traspare, a suscitare in molti il sospetto di un “Progettista”. Non una prova, certo, ma un’impressione che riaffiora continuamente: l’universo non è caos, bensì armonia leggibile. Questo sospetto ha conseguenze che vanno ben oltre il piano individuale: tocca la sfera sociale, politica e culturale.
Storicamente, infatti, la relazione tra Scienza e religione ha rappresentato anche un terreno di conflitto per il potere. L’Europa moderna si è costruita sul superamento della visione medievale che subordinava il sapere scientifico alla teologia. La rivoluzione copernicana, la fisica di Galileo e Newton, l’illuminismo: tutto questo non fu solo un progresso del pensiero, ma anche una ridefinizione dei rapporti di forza. Stabilire che l’universo segue leggi naturali autonome significava emanciparsi dall’autorità religiosa che pretendeva di custodire il senso ultimo del cosmo.
Da allora, la Scienza è divenuta una delle forze più potenti della modernità. Ha permesso lo sviluppo della tecnica, dell’industria, della medicina, trasformando radicalmente la vita sociale. Ma allo stesso tempo ha posto nuove domande politiche: chi controlla la Scienza? A quali fini viene orientata? Le leggi della natura possono essere neutrali, ma le applicazioni della Scienza non lo sono mai. La tecnologia può curare o distruggere, emancipare o opprimere.
In questo quadro, il tema del “Progettista” ritorna in maniera sotterranea. Se la religione rappresenta un ancoraggio simbolico e morale, la Scienza da sola non fornisce criteri etici. Può dirci come funziona il mondo, ma non se una certa azione sia giusta o sbagliata. Ecco allora che la questione di Dio, pur espulsa dal metodo scientifico, rientra dalla porta della società. Le comunità politiche, infatti, hanno sempre bisogno di una visione del mondo che dia senso alle regole, che legittimi valori e norme condivise.
Nel mondo contemporaneo vediamo due grandi tendenze opposte: da un lato, società che spingono verso una secolarizzazione radicale, dove il discorso religioso è relegato alla sfera privata; dall’altro, contesti in cui il richiamo a Dio rimane centrale per giustificare scelte collettive, orientare la politica o perfino condizionare la ricerca scientifica. In entrambi i casi, la tensione tra Scienza e religione non è solo teorica: è politica.
Così, la Scienza che rivela leggi sempre più eleganti finisce, paradossalmente, per alimentare due letture contrapposte:
per alcuni, più il mondo appare ordinato, più si rafforza l’idea di un Creatore;
per altri, più il mondo appare spiegabile, meno è necessario postulare una divinità.
Questa ambivalenza attraversa la modernità e condiziona le scelte collettive. Pensiamo ai dibattiti su bioetica, intelligenza artificiale, genetica, ecologia: ogni volta che la Scienza apre nuove possibilità, la società deve decidere come usarle e a quale visione del mondo ancorarle.
In definitiva, la Scienza non ha bisogno del Progettista per funzionare. Ma le società, gli uomini, i popoli forse sì: perché l’idea di un ordine superiore, anche solo simbolico, continua a offrire un senso che la pura descrizione dei fenomeni non basta a garantire. La partita, insomma, si gioca non solo sul campo della conoscenza, ma anche su quello della convivenza civile.
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