IL PARADOSSO DELLA MADDALENA
C'è qualcosa di amaramente grottesco nel fatto che nel 2025 una donna che denuncia molestie debba ancora passare attraverso lo stesso processo di purificazione morale che duemila anni fa si riservava alle prostitute pentite, solo che stavolta invece del cilicio abbiamo Instagram e al posto dei farisei ci sono i commentatori da tastiera che frugano tra stories e post come archeologi del peccato digitale alla ricerca della prova definitiva che quella lì, in fondo, se l'è cercata. La studentessa che al Policlinico dice di aver subito molestie durante una TAC si ritrova sotto processo non per quello che le è stato fatto, ma per quello che ha postato nel suo profilo, come se esistesse una correlazione matematica tra centimetri di pelle mostrata online e diritto alla dignità umana, una sorta di algoritmo della colpevolezza dove ogni selfie in bikini sottrae punti al tuo credito di vittima e ogni scollatura è una dichiarazione tacita di disponibilità universale. È l'Italia che non cambia mai, quella che ha trasformato la Maddalena evangelica da discepola prediletta a peccatrice redenta solo perché faceva comodo avere un archetipo femminile di colpa e redenzione, e che oggi applica lo stesso schema alle donne contemporanee con la precisione chirurgica di chi ha fatto della misoginia un'arte perfezionata nei secoli.
Il meccanismo è sempre lo stesso, solo che adesso è democratizzato e amplificato: prima erano i preti e i moralisti a stabilire chi meritava compassione e chi condanna, oggi ci pensa il tribunale popolare dei social media che si costituisce in pochi minuti, armato di screenshot e di una conoscenza superficiale del diritto penale mutuata dalle serie tv. La vittima diventa imputata nel processo più veloce della storia: bastano poche ore perché la sua vita privata venga sezionata, analizzata, giudicata da persone che non la conoscono ma che si sentono autorizzate a emettere verdetti sulla base di foto in costume o pose considerate troppo provocanti, come se il nostro codice penale prevedesse una clausola segreta per cui i reati sessuali si prescrivono in presenza di décolleté. È la stessa logica per cui la Maddalena doveva essere per forza una prostituta nella tradizione popolare cristiana, perché una donna sola che seguiva Gesù doveva avere qualcosa da nascondere, qualche peccato originale che giustificasse la sua presenza in quella storia, esattamente come oggi una donna che denuncia molestie deve avere qualche colpa pregressa che spieghi perché le sia successo proprio a lei.
L'assurdo è che viviamo in un'epoca in cui il corpo femminile è ovunque, sfruttato commercialmente in ogni forma possibile, dove l'ipersessualizzazione è la norma dalla pubblicità dei gelati alle copertine dei giornali, ma guai a quella che si appropria di questa sessualizzazione e la gestisce in autonomia, perché allora diventa colpevole di averla provocata, di essersela cercata, di aver violato quel contratto sociale non scritto per cui puoi essere sexy solo nei modi e nei tempi che la società considera appropriati. È il paradosso della Maddalena contemporanea: devi essere disponibile ma non troppo, seduttiva ma non volgare, libera ma non libertina, e soprattutto devi intuire magicamente dove passa il confine tra l'essere desiderabile e l'essere colpevole, perché quel confine si sposta a seconda di chi lo traccia e quando, ed è sempre, sistematicamente, contro di te.
Quello che è successo alla studentessa non è un caso isolato ma la rappresentazione perfetta di un Paese che ha fatto della vittimizzazione secondaria un sport nazionale con tanto di tifo da stadio, dove la solidarietà verso chi subisce violenza è condizionata da un esame preventivo della sua biografia morale, come se esistesse una patente di vittima che si può perdere per comportamento scorretto o incompatibile con l'immagine della donna ideale. È lo stesso Paese che ha assolto Berlusconi dalle sue cene eleganti mentre lapidava le ragazze che vi partecipavano, che ha fatto di Ruby la vera colpevole di quella storia mentre l'uomo potente rimaneva al sicuro nel suo bunker di immunità maschile e istituzionale. È l'Italia che preferisce processare una minorenne per come si vestiva piuttosto che interrogarsi sul perché un adulto non riesca a controllarsi, che trova più scandaloso un crop top che una violenza, più indecente un selfie che un abuso di potere.
E così mentre dovremmo indignarci per il fatto che una paziente in condizione di vulnerabilità assoluta durante un esame medico possa essere molestata da chi dovrebbe proteggerla, ci ritroviamo a discutere della lunghezza delle sue gonne e della profondità delle sue scollature, annullando retroattivamente la sua dignità di persona con una foto in bikini postata due estati fa. È la logica perversa per cui il corpo femminile non appartiene mai davvero a chi lo abita ma è sempre proprietà collettiva da giudicare, una sorta di bene pubblico su cui tutti hanno diritto di esprimere un'opinione e emettere sentenze, dove ogni centimetro di pelle mostrata viene archiviato come prova in un processo che non finisce mai e che può essere riaperto in qualsiasi momento contro di te.
La Maddalena almeno aveva Gesù che la difendeva e le diceva "chi è senza peccato scagli la prima pietra", ma le donne di oggi hanno solo un esercito di giustizieri digitali pronti a scagliare sassi virtuali dal sicuro anonimato delle loro tastiere, convinti che un profilo Instagram possa raccontare tutta la verità su una persona e che una denuncia per molestie sia automaticamente falsa se chi la fa ha mai osato mostrarsi senza pudore vittoriano. È un Paese che ha trasformato il coraggio di denunciare in un atto di masochismo sociale, dove parlare significa esporsi a un linciaggio mediatico che spesso fa più male dell'abuso originario, dove il prezzo della verità è vedere la propria vita privata trasformata in pettegolezzo pubblico e la propria dignità messa all'asta nel mercato dell'indignazione selettiva.
E così continuiamo a vivere in una società che assolve i molestatori con un'alzata di spalle e condanna le vittime per come respirano, che trova sempre una scusa per l'uomo che non si controlla e sempre una colpa per la donna che non si nasconde abbastanza, che ha fatto del "se l'è cercata" il suo mantra nazionale e della vergogna l'unica punizione garantita per chi ha il coraggio di dire la verità. È l'Italia eterna, quella che cambia tutto per non cambiare niente, che parla di emancipazione femminile ma continua a giudicare le donne con parametri medievali, che celebra la libertà ma punisce chi la pratica davvero. La Maddalena almeno alla fine veniva perdonata e santificata, le donne di oggi vengono solo crocifisse, una story alla volta, un commento alla volta, in un calvario digitale che non prevede resurrezione ma solo oblio, se sono fortunate, o condanna perpetua se non lo sono abbastanza.
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