VENGO ANCH'IO! NO, TU NO
L’amministrazione Trump ha trovato un modo creativo per dare spettacolo al prossimo vertice delle Nazioni Unite: impedire ai palestinesi di arrivarci. La revoca dei visti a Mahmoud Abbas e a una bella comitiva di funzionari non è una banale pratica di frontiera, ma una sceneggiata diplomatica che fa il paio con la retorica del “non premiamo il terrorismo”. Tradotto: se ti rivolgi a un tribunale internazionale invece che a Benjamin Netanyahu per risolvere le questioni territoriali, preparati a guardare l’ONU in diretta streaming da Ramallah.
Il colpo di teatro arriva con un timing da manuale: proprio alla vigilia dell’Assemblea Generale, quando il mondo discute di guerre, crisi e cambiamenti climatici. Washington ha deciso che la parola d’ordine è “lawfare is bad”: guai ai palestinesi che osano usare il diritto invece delle trattative, quelle trattative che da decenni non portano a nulla, ma che evidentemente restano il passatempo preferito degli Stati Uniti.
Naturalmente Abbas ha protestato, invocando il diritto internazionale e ricordando che la Palestina è uno Stato osservatore dell’ONU. Peccato che la “legalità” qui valga quanto una moneta del Monopoli: gli Stati Uniti ospitano l’ONU, e se decidono che i tuoi visti diventano carta straccia, tu resti a casa. Un precedente delizioso: domani altri paesi potrebbero scoprire che negare ingressi scomodi è il nuovo hobby della diplomazia.
Il messaggio politico è chiaro: punizione esemplare ai palestinesi e carezza rassicurante a Israele. Peccato che questa logica di “massima pressione” abbia già dato risultati straordinari… nel fallire. Ogni tentativo di piegare i palestinesi con ricatti unilaterali ha sempre avuto l’effetto contrario, ma evidentemente qualcuno alla Casa Bianca crede ancora alla favola che basti togliere un visto per rimettere tutti intorno al tavolo dei negoziati.
E poi c’è l’Europa, costretta ancora una volta a scegliere se fingere entusiasmo per l’ennesima trovata trumpiana o manifestare un leggero imbarazzo. Paesi come la Francia, che preferirebbero affrontare la questione palestinese con un minimo di serietà, vedono in questa mossa una pugnalata preventiva all’agenda ONU. Risultato: mentre il mondo dovrebbe concentrarsi su Ucraina, Cina e crisi climatiche, gli alleati occidentali rischiano di litigare su chi ha diritto a entrare nella sala conferenze di New York.
Dal punto di vista legale, la mossa è un piccolo capolavoro di schizofrenia: la legge americana da una parte, il diritto internazionale dall’altra. Ma dato che l’ONU sta a Manhattan e non a Ginevra, indovinate quale vince? Una bella lezione per chi ancora crede che il multilateralismo abbia un futuro: ricordatevi sempre chi possiede le chiavi della porta.
Certo, qualche palestinese continuerà comunque a sedere all’ONU, giusto per dare un’apparenza di normalità. Ma la distinzione è chiara: Abbas e la sua élite politica restano fuori, puniti per l’imperdonabile crimine di voler usare la giustizia internazionale. Così Washington manda un segnale al mondo: l’ONU serve, sì, ma solo se non disturba la politica estera americana.
E il bello è che questa scelta, spacciata come “difesa del principio”, rischia di diventare un boomerang. Se domani altri paesi decidessero di applicare lo stesso metodo – chi non ci piace non entra – le Nazioni Unite potrebbero trasformarsi in una sagra di esclusioni reciproche. Un’idea perfetta per chi sogna un ritorno all’anarchia globale. Complimenti: se l’obiettivo era ridicolizzare il multilateralismo, la missione è già compiuta.
È devastante quello che sta accadendo nel mondo intero. Il "Globo" nelle mani di un forsennato individualismo patologico!
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