CAN'T HELP MYSELF


Ci sono opere d’arte che si spiegano da sole, perché non hanno bisogno di parole. Eppure, davanti a Can’t Help Myself di Sun Yuan e Peng Yu, le parole vengono, quasi inevitabili. Perché quell’enorme braccio meccanico che trascina verso di sé il liquido che lo mantiene in vita – e che pure non cessa mai di perdere – ci riguarda da vicino.

La macchina non fa altro: raccoglie il suo olio idraulico, giorno dopo giorno, fino a consumarsi, a logorarsi, a morire. Eppure in questa ripetizione sterile, senza speranza, noi vediamo riflessa la nostra condizione. La routine quotidiana che ci consuma, il lavoro che sembra infinito, le bollette che tornano sempre, i gesti piccoli e grandi che dobbiamo ripetere senza sosta per mandare avanti le nostre vite. È un Sisifo meccanico, un Beckett industriale, una metafora della modernità che colpisce per la sua chiarezza e crudezza.

Ma c’è qualcosa di più. Perché il robot non sa, non si ribella, non può fermarsi. È condannato alla ripetizione fino all’usura finale. Noi, invece, possiamo scegliere. Possiamo decidere che i nostri gesti quotidiani – cucinare, lavare, riordinare, accudire – non siano soltanto fatica senza senso, ma rituali che danno forma al tempo e dignità alla vita. Possiamo, insomma, trasformare la condanna in consapevolezza.

È questo che ci insegna Can’t Help Myself: la differenza tra una ripetizione cieca e una ripetizione consapevole. La prima è meccanica, sterile, senza possibilità di redenzione. La seconda può diventare addirittura sacra: la cura del corpo che invecchia, l’attenzione ai legami, il rispetto delle piccole cose. Non importa che siano destinate a consumarsi: ciò che conta è il gesto, l’atto stesso del prendersi cura.

Alla fine, il braccio robotico muore, inevitabilmente. Ma nella sua danza disperata ci lascia un’eredità: ci obbliga a guardare in faccia l’assurdo della condizione umana, e a scegliere se viverlo come una condanna o come un’opportunità. Perché se lui non poteva farne a meno, noi invece possiamo.

E allora la domanda è inevitabile: continuiamo a trascinare l’olio della nostra vita fino allo sfinimento, o troviamo il coraggio di fermarci e decidere chi vogliamo davvero essere?

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