LA VITA CHE CONVIENE

Nel grande circo della politica contemporanea poche acrobazie sono spettacolari quanto quella del politico che si dichiara “pro-life” col petto gonfio di virtù e poi applaude la pena di morte con lo stesso entusiasmo con cui un ultras inneggia al rigore. È la magia del moralismo selettivo: la vita è sacra, certo, ma solo quando conviene, solo quando è piccola, indifesa e soprattutto utile come feticcio ideologico; appena cresce, sbaglia e diventa scomoda, ecco che il valore assoluto della vita si trasforma in un coupon a scadenza, revocabile da Dio, dallo Stato o dal boia di turno. Per tenere insieme questo castello di incoerenze, il trucco è semplice: inventarsi il principio dell’“innocenza”. Il feto è innocente, quindi intoccabile; il condannato è colpevole, quindi sacrificabile. Peccato che così la vita non sia più sacra, ma condizionata al giudizio morale del momento, una specie di premio fedeltà che perdi se non ti comporti bene. E peccato pure che i sistemi giudiziari siano fallibili, e che l’errore giudiziario possa spedire al patibolo proprio quell’innocente che a parole volevi difendere. Ma non importa: la retorica è salva e i morti non protestano. La stessa incoerenza si vede sulle politiche sociali: si difende la vita prima della nascita con zelo missionario, poi però si tagliano sanità, welfare, educazione sessuale, congedi parentali. Tradotto: la vita è sacra finché è astratta, ma quando diventa concreta e costosa, arrangiati. Madri obbligate a portare avanti gravidanze indesiderate? Problema loro. Bambini cresciuti nella miseria? Colpa dei genitori. Lo Stato è presente solo nel momento del divieto, mai in quello del sostegno. E il capolavoro arriva con l’eutanasia: lo Stato può uccidere un criminale, ma tu non puoi decidere di porre fine alle tue sofferenze. La morte è legittima solo se ordinata dall’alto, mai se scelta dal basso. Il tutto condito da giustificazioni religiose antiquate, dove Dio e lo Stato sono padroni della vita altrui come se fosse proprietà privata, mentre l’individuo resta suddito persino del proprio dolore. E così il risultato è grottesco: più morti evitabili, più ingiustizie, più vite ridotte a slogan. Una vera posizione pro-life dovrebbe significare investimenti in educazione, welfare, sanità, lotta alla povertà e stop a pena di morte e guerre, ma questo richiede soldi e visione, non proclami da comizio. Molto meglio allora continuare a sventolare la bandiera della vita sacra, purché resti un concetto astratto, spendibile in campagna elettorale e irrilevante nella realtà. Tutto il resto è, appunto, retorica.

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