IL NASCONDIGLIO DI DIO
Facciamo un piccolo esperimento mentale.
Chiudete gli occhi per un momento e provate a immaginare Dio. Che immagine vi viene in mente?
Forse una luce sconfinata, un abisso di energia che si espande oltre le galassie. Qualcosa di smisurato, che abbraccia tutto ciò che esiste. È così che, da millenni, pensiamo al divino: come all’immensamente grande.
Ora però, proviamo a fare l’opposto.
Dimentichiamo per un attimo il cielo stellato e i buchi neri. Lasciamo da parte i telescopi e prendiamo un microscopio.
Facciamo un viaggio non verso l’esterno, ma verso l’interno. Non verso l’infinito, ma verso l’infinitamente piccolo.
Immaginate di rimpicciolirvi sempre di più. Attraversate la pelle, poi le cellule, poi le molecole. Entrate nell’atomo, nel suo nucleo, dentro i quark… e continuate a scendere. Sempre più giù. Finché la mente comincia a ribellarsi, come se non riuscisse più a seguire il ritmo di ciò che sta vedendo.
A un certo punto, arrivate a un confine.
Un muro invisibile, un limite assoluto della realtà.
Si chiama lunghezza di Planck: 1,616 × 10⁻³⁵ metri.
Tradotto in termini umani: uno “zero virgola” seguito da trentacinque zeri prima del primo numero. È così piccolo che smette di avere senso parlare di “distanza”. È come se la natura stessa ci dicesse: “Fino a qui puoi guardare. Oltre, non esiste più nemmeno il concetto di ‘oltre’.”
Ed è proprio lì, in quel punto inaccessibile, che sorge una domanda un po’ folle, ma irresistibile:
E se fosse lì che si nasconde Dio?
Nel 1899, un fisico tedesco di nome Max Planck cercava solo di risolvere un problema tecnico — capire come i corpi caldi emettono radiazione.
Niente misticismo, solo fisica.
Eppure, nel farlo, scoprì qualcosa che avrebbe fatto tremare le fondamenta della realtà: una scala minima di lunghezza, una soglia oltre la quale le leggi della fisica smettono di funzionare.
Non perché siano sbagliate, ma perché lì, semplicemente, la realtà non parla più il linguaggio che conosciamo.
Planck, inconsapevolmente, aveva aperto una crepa tra scienza e metafisica.
Perché sotto quella soglia, lo spazio e il tempo — i due ingredienti fondamentali del nostro universo — si dissolvono.
Le due grandi teorie della fisica, la relatività generale di Einstein e la meccanica quantistica, entrambe perfette nei loro rispettivi regni, lì dentro cominciano a litigare come due geni che non si sopportano. Le loro equazioni impazziscono, le previsioni smettono di avere senso.
È come se la natura avesse piazzato un cartello con scritto: “Accesso vietato. Zona riservata.”
E noi, curiosi come siamo, ovviamente vogliamo entrare.
La cosa affascinante è che la mente umana, con tutta la sua potenza, riesce a immaginare l’infinito.
Riusciamo a concepire universi paralleli, galassie lontane miliardi di anni luce, dimensioni aggiuntive. Possiamo persino immaginare cosa succede al bordo di un buco nero, dove il tempo si ferma.
Ma sotto la lunghezza di Planck… nulla.
Non riusciamo a pensarla. Non perché manchino le parole, ma perché manca la forma mentale per farlo.
È come tentare di piegare un pensiero in una dimensione che la mente non possiede.
E allora ecco l’idea: forse proprio lì, in quell’abisso inaccessibile, si nasconde ciò che chiamiamo Dio.
Non il Dio delle nuvole, non l’architetto che governa l’universo dall’alto, ma qualcosa di più intimo.
Un Dio contratto, concentrato fino a diventare invisibile.
Un Dio che non si nasconde da noi, ma nella struttura stessa della realtà.
Nel punto in cui la conoscenza si ferma e il mistero comincia.
È un pensiero vertiginoso: se Dio abitasse la lunghezza di Planck, allora non sarebbe “altrove”. Sarebbe ovunque, in ogni granello di materia, in ogni vibrazione, in ogni frammento di realtà.
Non trascendente, ma immanente fino all’estremo, cucito nella trama stessa dell’esistenza.
Guardate le vostre mani.
Gli atomi che le compongono, le particelle che li tengono insieme, tutto si regge su quella scala invisibile dove la fisica si dissolve.
Forse proprio lì, in quel vuoto impossibile da osservare, pulsa il mistero di tutto ciò che è.
E allora forse abbiamo guardato nella direzione sbagliata per millenni.
Non verso le stelle, ma verso l’interno.
Non verso l’immensità, ma verso la profondità.
Perché il divino potrebbe non trovarsi “sopra”, ma dentro ogni cosa: nascosto nell’impossibile, in quel luogo dove la conoscenza tace e comincia il silenzio di Dio.
[L'immagine è tratta dal film ""A Boy and His Atom", il film più piccolo al mondo]
È in assoluto la più bella e interessante bustina che tu abbia scritto e che abbia colpito in PROFONDITÀ il mio cuore! Grazie 🙏
RispondiEliminaGrazie grazie grazie 🙏 🌹
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