INUTILI LITURGIE

E va bene, facciamola breve ma non innocua.

Per anni ci siamo raccontati che un vaccino serio richiede sette anni, come se la scienza fosse una tartaruga burocratica che avanza per timbri e fotocopie. Poi arriva il COVID e in sette mesi — sette — si completa l’intero percorso. Qui qualcuno s’inalbera, altri brindano, e tutti fingono di non vedere l’elefante nel corridoio: non è che, più che prudenza, c’era inerzia? Un culto della lentezza scambiato per saggezza, perché il rischio delegato agli altri pesa poco alle scrivanie.

Quando la casa brucia, si scopre che si può costruire in fretta senza buttare via l’ingegneria: piattaforme mRNA già pronte, trial adattivi, produzione “at risk”, autorizzazioni condizionate, cooperazione globale e denaro a palate. E miracolosamente il calendario si accorcia — non la logica. Di colpo la “normalità” appare per quello che era: la somma di ritardi, frammentazioni, duplicazioni, timori legali, revisioni seriali. Un rosario di adempimenti fatti uno dopo l’altro per tradizione più che per necessità, come se il tempo altrui fosse un capitale inesauribile.

Certo, qui il lettore sospira e chiede: allora ci hanno tirato per la giacca? Hanno aspettato l’onda per far sembrare l’acqua più fresca? Tranquilli, il cinismo non è una prova e il complotto non è un’argomentazione. Ma la domanda resta, pungente: se il sistema sa correre quando vuole, perché il passo del giorno feriale è quello del bradipo?

Forse perché l’eccezione concentra risorse, allinea incentivi, mette in riga i feudi regolatori e costringe a condividere dati in tempo reale. L’ordinario, invece, disperde responsabilità e premia il rinvio. E così la prudenza diventa posa, e la tutela si traveste da ritardo.

Qualcuno ribatterà che l’urgenza compra rischio e che la velocità è un debito che si paga dopo — farmacovigilanza estesa, coorti più lunghe, follow-up. Giusto. Ma allora ammettiamolo: non servivano sette anni per partito preso. Serviva un disegno che separasse ciò che richiede tempo dalla liturgia del tempo. Quando la necessità ha demolito la liturgia, il castello di carte ha mostrato la sua leggerezza.

Il punto non è se abbiano aspettato i numeri per “rendere appetibile” l’antidoto — non serve la malizia quando bastano incentivi storti. Il punto è che il dolore allinea la volontà, e allineata la volontà, la macchina funziona.

Dunque l’eresia è semplice, quasi offensiva nella sua ovvietà: se sappiamo fare in sette mesi quando serve, dobbiamo vergognarci dei sette anni quando non serve. E no, non serve che la casa bruci ogni volta. Basta progettare il sistema come se bruciasse — piattaforme pronte, protocolli adattivi standard, iter paralleli, soglie di evidenza chiare, decisioni reversibili con dati post-marketing. Perché la prudenza che salva vite è precisione, non immobilismo.

Il resto è tradizione travestita da etica. E l’etica, quando si veste di abitudine, diventa soltanto un alibi elegante.
E così la ricerca, che dovrebbe essere un laboratorio d’intelligenza e audacia, si ritrova spesso schiacciata da un cerimoniale di lentezze: un’inutile liturgia che la appesantisce, la diluisce, e la rende meno viva di quanto potrebbe — o dovrebbe — essere.

Commenti

Post popolari in questo blog

IL SONDAGGIONE: IO VOTO VANNACCI PERCHÈ...

È TUTTO FRUTTO DELLA FANTASIA?

DIALOGO VS MONOLOGO