L'ASINO DI BURIDANO

L'Italia continua a inciampare sull'educazione sentimentale, trattandola come un'eresia o un'intrusione nell'intimità. Il solito pendolo oscilla: chi rimprovera alla scuola di non insegnare rispetto ed emozioni, chi si scandalizza che osi occuparsene.

C'è chi vorrebbe una formula rassicurante: la scuola istruisce, la famiglia educa. Come se bastasse l'algebra per capire le proprie paure, o un classico per rispettare l'altro. Ma educazione sentimentale e istruzione non sono stanze separate: sono la stessa casa. Separarle significa alzare muri dietro cui nascono silenzio, vergogna, violenza.

Alla scuola si chiede di insegnare convivenza e rispetto, ma guai se lo fa sui sentimenti. "Non tocca a voi, sono cose da famiglia!" Eppure quante famiglie hanno tempo, parole o serenità per parlare davvero d'amore? Non per mancanza d'affetto, ma di strumenti. Ogni famiglia ha i propri silenzi e le proprie ferite. Affidata solo alla sfera domestica, l'educazione sentimentale diventerebbe un mosaico frammentato: nessun linguaggio comune, nessun metodo adeguato.

La scuola costruisce un lessico condiviso: una grammatica dell'emozione per dire "mi sento", "mi arrabbio", "mi spavento" senza vergogna. In classe si ascoltano storie diverse, si scopre che non esiste un solo modo di amare o sentirsi soli. Il confronto trasforma la conoscenza in empatia collettiva. Senza questa dimensione pubblica, l'educazione affettiva diventa privilegio per pochi, tabù per altri.

Viviamo in un tempo iper-esposto ma non condiviso. I ragazzi imparano dai meme e dagli algoritmi. Poi ci stupiamo se confondono desiderio e possesso, libertà e fuga.

Il nostro Paese ha paura dei sentimenti. Non di provarli, ma di educarli. E lo Stato, come l'asino di Buridano, resta immobile tra scuola e famiglia, paralizzato dall'equidistanza. Non sceglie, non decide. Intanto i ragazzi crescono senza parole per i loro sentimenti, mentre algoritmi e solitudine fanno da maestre. La paralisi del potere diventa la peggiore delle scelte: quella di non scegliere.

L'educazione sentimentale è un atto politico e civile: restituire alle nuove generazioni un linguaggio per dire l'amore senza possederlo, la rabbia senza distruggere, la solitudine senza vergognarsi. La competenza emotiva è intelligenza, non debolezza.

Finché il pendolo oscillerà tra paura di parlare e presunzione di sapere, l'Italia resterà prigioniera della sua ipocrisia affettiva: una società che invoca rispetto ma teme la fragilità, pretende relazioni sane ma censura le parole per costruirle. Finché non insegneremo a sentire prima ancora che a capire, continueremo a chiamare libertà ciò che è solo paura.

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