L'ODIO IN CIABATTE


È affascinante come la brutalità, negli ultimi tempi, abbia imparato a mettersi il dopobarba. Non arriva più in divisa o con la bava alla bocca: ti sorride dallo studio televisivo, parla di “sincerità”, e nel frattempo sputa disprezzo con la naturalezza di chi commenta un reality. Oggi l’insulto non è più maleducazione, è autenticità. Se sei empatico, sei buonista; se sei volgare, sei schietto. Così una battuta sul “sovrappeso” di una donna palestinese diventa un’analisi geopolitica da bar sport. Perché discutere di fame, di occupazioni e di crimini di guerra è complicato; ridere di un corpo, invece, fa audience. Poi, ovviamente, arrivano le scuse, formato standard: “Non volevo offendere”. Traduzione: “Pensavo che nessuno protestasse abbastanza forte”. Il problema non è l’intenzione, è la grammatica del disprezzo che funziona da sola, come un pilota automatico.

Nel frattempo, la contabilità del dolore va a due velocità. I morti israeliani hanno nomi, storie, fotografie. Quelli palestinesi, invece, sono “numeri forniti da Hamas”. La compassione a richiesta: prima la certificazione, poi il lutto. È la nuova frontiera del cinismo: la burocrazia dell’empatia. E chi osa dire che tutte le vite valgono uguale viene subito bollato come “equidistante”, la bestemmia del secolo.

Intanto i salotti televisivi diventano sagrestie della verità ufficiale. Si parte dal giusto [“l’antisemitismo cresce”], si passa per l’ovvio [“Israele ha diritto alla sicurezza”] e si finisce nel delirio [“ogni critica a Israele è antisemitismo”]. È un vecchio trucco: partire da un fatto incontestabile per far digerire un’ingiustizia come se fosse logica conseguenza.

La “grande democrazia israeliana” è l’altra formula magica. Certo, democrazia lo è, ma solo per chi può votare. Per gli altri – milioni di persone sotto controllo militare – un po’ meno. Ma guai a dirlo: si rischia l’eresia. Così “Israele è una democrazia” diventa un talismano: lo agiti e spariscono gli insediamenti illegali, le demolizioni, le bombe sui civili.

Il punto è che l’odio oggi non marcia: indossa le pantofole. Non urla, sussurra. Ti spiega che non è odio, è “buon senso”, “realismo”. Ti deride, ma con garbo. Ti disumanizza, ma con sorriso. E la gente applaude, perché l’odio in ciabatte è più rassicurante di quello con gli stivali.

E così la guerra ha tolto la maschera a molti. Ha rivelato che per tanti i diritti umani sono universali solo se restano nel quartiere giusto. La vita ha un prezzo, ma il cambio dipende dal passaporto. E chi prova a ricordare che anche i bambini palestinesi sono bambini, viene accusato di tradimento morale.

Il problema non è scegliere da che parte stare. È scegliere di stare da una parte che ti obbliga a smettere di considerare certe persone come persone. E quando succede, non serve più un dittatore: bastano due opinionisti e un microfono.

Commenti

  1. Vero, una terribile realtà, ma è tutto vero! Bastano due opinionisti per creare odio come bastarono 30 denari per uccidere Gesù Cristo! La storia si ripete a cicli! 😞

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