QUANDO È NO, È NO!

Il 25 novembre 2025 l’Italia si sveglia tutta pettinata e infiocchettata, manco fosse il giorno della Prima Comunione repubblicana. Voto unanime sul femminicidio, ergastolo ostativo, Meloni che twitta come se stesse incidendo tavole della legge, politici in fila per una foto con la scarpetta rossa, che ormai è più gettonata delle influencer a Natale. Una scena così edificante che quasi ti viene voglia di crederci. Lo Stato c’è, la politica pure, la coscienza anche. Peccato che dopo ventiquattr’ore – non ventiquattro giorni, ore – la stessa maggioranza si presenti al Senato con la grazia di un bulldozer  - con voce di donna, ndr -  e butti fuori dalla porta il disegno di legge sul consenso attuale e libero. Rimandato tutto a gennaio, cioè a mai, quando saremo tutti impegnati a preoccuparci dei saldi o dell’ennesimo decreto sicurezza.

La motivazione è un capolavoro da esporre al Louvre della retorica... “rischio vendette”. Pare che Salvini, nel tempo libero tra un "daje al migrante" e una sagra, viva assediato dal terrore che le donne italiane – notoriamente sadiche come un manuale di diritto tributario – passino il tempo a meditare denunce vendicative dopo una notte poco entusiasmante. Il vicepremier, che già immagino controllare se sotto al letto si nasconda un’ex con la querela pronta, corre al Senato a difendere il Paese dal rischio massimo... la carezza inquisita. Perché, secondo lui, una carezza innocente potrebbe trasformarsi in stupro, un bacio in tentato omicidio del desiderio, una mano sulla guancia in una condanna a dodici anni. Roba che neanche Kafka, ubriaco.

Peccato che nel resto d’Europa – quella noiosa fatta di dati, leggi e civiltà – la riforma del consenso esista da anni. Nessuna impennata di false denunce, nessuna invasione di valchirie vendicative, nessuna apocalisse giudiziaria. Ma Salvini lo sa, l’ambiguità è come il sugo della domenica, non si tocca e va rigirato senza sosta. Perché finché il consenso resta presunto, gli uomini possono fingere di non vedere, non capire, non cogliere. E la politica può continuare a raccontare che il problema non è la cultura dello stupro, è la cattiva interpretazione dei fatti. Strano come quando si parla di immigrazione nessuno abbia mai paura delle “vendette”, eh.

E così si arriva alla doppia acrobazia, la stessa maggioranza che vota l’ergastolo al femminicida – il “mostro”, lo sfigato da dare in pasto alla folla – si irrigidisce come il marmo quando si tratta di riconoscere che la violenza sessuale non nasce dai boschi ma dai salotti, dalle relazioni, dai letti matrimoniali. Meglio punire chi ammazza che disturbare chi palpa, tanto la donna morta non protesta, quella viva sì. La riforma del consenso era un ulteriore passo nella direzione giusta per arrivare a limitare il femminicidio, ma vuoi mettere quanto è più comodo indignarsi dopo, piangere, twittare, e riporla nel cassetto fino al prossimo caso?

Il Paese si racconta che “serve severità”, e poi si rifiuta di guardare l’inizio della storia. È la solita sceneggiata all’italiana, la politica punisce forte e tardi, ma guai a chiederle di prevenire presto e meglio. Così possiamo continuare a fare fiaccolate, spot, post indignati, senza mai toccare il nervo scoperto, che il problema non sono i mostri, ma gli uomini normali. E infatti il messaggio finale è chiarissimo, vi proteggiamo, sì – ma solo quando siete già morte. Da vive, non esagerate con le pretese. Non vorremo mica costringere un povero maschio occidentale a chiedere “ti va?”. Quella sì sarebbe una rivoluzione, e noi siamo un Paese che preferisce i monumenti alle rivoluzioni. A patto che siano di marmo. E possibilmente già freddi.

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