SAN FRANCESCO, PLATONE E I BAMBINI
La vicenda della coppia anglosassone che decide di vivere con i figli in un rudere abruzzese — e che per questo finisce nel radar dei servizi sociali — sembra fatta apposta per rivelare le nostre fragilità culturali. Perché in Italia la povertà è accettabile solo se non la scegli. Se la erediti diventa pittoresca, se la cerchi diventa sospetta. E chi, potendosi permettere una vita comoda, opta per un’esistenza quasi francescana, con camini che tirano poco e filosofia che tira moltissimo, scatena immediatamente un misto di irritazione e diffidenza. Una specie di peccato sociale. Hai la libertà e la usi per non consumare? Imperdonabile.
Il punto, però, non è solo il risentimento di classe mascherato da preoccupazione educativa. Il vero nodo è cosa significhi crescere bambini in questa scelta ascetica. Perché qui la metafora della caverna di Platone smette di essere un elegante riferimento filosofico e diventa un manuale d’uso della situazione. I genitori, pur animati dalle migliori intenzioni — e forse da un fascino un po’ romantico per la vita essenziale, la legna bagnata e il ritorno alle origini — hanno scelto il loro mondo dopo averne visto altri. I bambini no, loro vivono dentro la caverna senza sapere che esiste un fuori.
Le ombre che vedono non sono quelle proiettate dai fuochi della polis, ma quelle del minimalismo radicale dei genitori, una scuola fatta in casa più per convinzione che per metodo, una socialità limitata e un’idea di libertà che, pur nobile, rischia di diventare un recinto invisibile. I bambini si adattano, certo — la loro plastica capacità di sopravvivere ai contesti più improbabili è proverbiale — ma adattarsi non significa scegliere. E ciò che per i genitori è un progetto di autenticità, per i figli rischia di essere una prigione morbida: senza ferite apparenti, ma con orizzonti ridotti.
Lo Stato, da parte sua, non può diventare il braccio armato delle ansie borghesi, ma nemmeno può ignorare quando la caverna, per quanto poetica, comincia a somigliare a un limite strutturale. La domanda da cui partire è una soltanto: questa scelta francescana permette davvero ai bambini di avere strumenti, esperienze e possibilità per diventare adulti liberi? Se sì, l’intervento istituzionale è eccessivo. Se no, allora la tutela non è intrusione, ma necessità.
Il resto — romanticismi rurali, sospetti sociali, indignazioni di classe — è rumore. I bambini, invece, hanno diritto alla luce vera, non solo alle ombre che qualcun altro ha scelto per loro.
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