BERNINI E I SOLITI COMUNISTI

La vicenda, a voler essere gentili, sfiora il grottesco... a voler essere realisti, ci sguazza proprio. Perché quando una ministra della Repubblica si arrampica su un palco e, invece di dare risposte a studenti comprensibilmente terrorizzati per il loro futuro, li liquida con un paternalistico “poveri comunisti”, non siamo più nell’ambito della politica, siamo nel cabaret istituzionale. Una specie di talent-show dell’autoimbarazzo, di quelli che ti fanno pensare che governare, ormai, sia diventato un optional accessorio come i cerchi in lega, utile, certo, ma non indispensabile finché sai strappare un applauso alla platea amica.

E la platea, guarda caso, era quella di Atreju, non certo un simposio universitario, non un confronto serio sulla formazione, ma la sagra ideologico-ricreativa di Fratelli d’Italia. Quel luogo magico dove ogni critica viene istantaneamente sterilizzata con l’etichetta “ideologia comunista”. Una formula vintage, quasi nostalgica, che però nel 2025 [quasi 2026] ha lo stesso impatto di chiamare “portoghesi” quelli che non vogliono pagare il conto. Fa sorridere, ma tradisce un attaccamento emozionale a un passato che esiste solo nella memoria di chi vive in una bolla temporale stile anni Cinquanta.

Il problema, però, è che questa nostalgia viene usata per coprire un disastro amministrativo così evidente che nemmeno i suoi creatori riescono più a difenderlo con un volto umano. La riforma del semestre-filtro per Medicina doveva essere il fiore all’occhiello del “numero chiuso abolito”. In realtà è diventata l’esatta caricatura della promessa fatta. Sessantamila studenti si iscrivono, pagano tasse, comprano libri, seguono corsi per sei mesi, ripetizioni pagate oro… e poi scoprono che i posti sono comunque ventimila, esattamente come prima. Solo che adesso, per arrivare allo stesso risultato, hanno bruciato metà anno e un bel po’ di risorse familiari.

È la versione accademica del biglietto della lotteria venduto con la promessa “questa volta vinci sicuro”, per poi scoprire dopo mesi che era tutto un simpatico scherzo, però i soldi li teniamo, eh, grazie per la partecipazione.

E lo show continua, domande d’esame errate ammesse pubblicamente, raddrizzate con un “punto bonus per tutti” degno di una promozione supermercatara, graduatorie previste per febbraio 2026 per posti che dovrebbero partire nell’anno accademico 2025/26... quindi chi passerà scoprirà di essere dentro quando avrebbe già dovuto preparare gli esami del primo semestre. Una coreografia organizzativa che fa sembrare la burocrazia degli uffici postali anni Settanta un esempio di efficienza teutonica.

La cosa tragicomica è che basterebbe ammettere l’ovvio... la riforma è stata improvvisata, testata male, lanciata peggio. Un semestre-pilota, almeno, avrebbe evitato di trasformare sessantamila studenti in cavie per un esperimento politico da laboratorio casalingo. Ma no, troppo semplice. Meglio la scorciatoia ideologica, agitare lo spettro del comunismo, il colpevole universale, quello che da decenni non governa nulla ma continua a essere accusato di tutto, dalle frane alle bollette, passando per la metereologia avversa e le riforme sbagliate.

E così, dal palco di Atreju, la ministra si concede pure il lusso di ridicolizzare i contestatori, di definirli “inutili”, come se il dissenso fosse una mancanza di rispetto e non una delle poche energie vitali rimaste in una democrazia che funziona solo se qualcuno ha il coraggio di dire “questa cosa non va”. Studenti veri, non militanti travestiti, ragazzi a cui è stato chiesto di credere a una promessa e che ora si sentono trattati come fastidi da zittire.

I social in fiamme con #BerniniDimettiti, proteste annunciate, ricorsi a migliaia pronti a paralizzare i tribunali, famiglie furiose. E lei? Pubblica trionfalmente su X la foto con la scritta “55.000 ragazzi entrati all’università grazie a noi”. Peccato che almeno trentacinquemila di quei ragazzi verranno accompagnati gentilmente alla porta fra qualche mese, dopo aver investito soldi, energie e fiducia. Ma si sa, nelle statistiche ministeriali la verità è un ospite scomodo.

In fondo, l’importante è aver dato la colpa ai comunisti. Una tradizione che farebbe sorridere persino Berlusconi, da qualche parte nel suo paradiso dei condoni fiscali, vedendo che la sua scuola retorica ha ancora discepoli zelanti. Noi, invece, che viviamo quaggiù nel mondo reale, ci ritroviamo a guardare questo spettacolo con un misto di incredulità, rassegnazione e una domanda che pesa più di tutte... com’è possibile che il futuro di sessantamila giovani sia gestito con la leggerezza di uno sketch comico?

E forse la risposta sta tutta qui... questa destra al governo, quando tocca la scuola, colleziona solo flop. Dal “Liceo del Made in Italy” di Valditara, celebrato come rivoluzione culturale e dimenticato come un gadget promozionale, fino al caos monumentale dei test d’ingresso targato Bernini, ogni intervento sembra trasformarsi in un esercizio di improvvisazione amministrativa. Una sequenza di inciampi che non fa ridere neppure nel registro della satira, perché il prezzo lo pagano sempre gli stessi: gli studenti, le famiglie, la credibilità stessa del sistema educativo.

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