L'ONNIPOTENZA DI DIO

L’idea di un’onnipotenza divina limitata dalla logica e dalla bontà, per quanto raffinata e spesso presentata come una soluzione equilibrata, lascia dietro di sé una sensazione di insoddisfazione filosofica. Dire che Dio può fare tutto ciò che è possibile sembra infatti più una mossa difensiva che una vera spiegazione. Ogni essere, per definizione, può fare solo ciò che è possibile, e così l’onnipotenza rischia di dissolversi in una formula tautologica, utile a preservare il concetto ma incapace di chiarirne la specificità. Se Dio non può fare l’impossibile, in che senso la sua potenza è radicalmente diversa da quella di qualsiasi altro ente, se non per grado e non per natura? A questo punto emerge una questione più profonda e forse più inquietante: chi decide che cosa sia logicamente possibile? Se Dio è davvero il creatore di tutto ciò che esiste, non dovrebbe aver creato anche le strutture razionali che governano il pensiero e l’essere? Attribuire alla logica un ruolo di limite invalicabile significa collocarla, implicitamente, al di sopra di Dio, trasformandola in una sorta di principio eterno e indipendente che ne condiziona l’agire. Paradossalmente, una concezione di Dio non sottomesso nemmeno ai principi logici umani, per quanto destabilizzante, appare più coerente con l’idea di un’onnipotenza assoluta, anche se al prezzo di rendere Dio radicalmente incomprensibile. Neppure il richiamo alla bontà divina riesce a sciogliere il nodo. Sostenere che Dio non può fare il male perché può fare solo il bene non elimina il problema del male, ma lo sposta su un piano ancora più ambiguo. Se il mondo è attraversato da sofferenze, malattie e tragedie, o queste non sono autentici mali e allora il nostro linguaggio morale perde significato, oppure Dio potrebbe impedirle e non lo fa, e la sua bontà diventa difficile da conciliare con l’esperienza concreta del dolore. In questo scenario, l’onnipotenza appare sempre più come un concetto ritagliato con cautela, delimitato quanto basta per evitare contraddizioni troppo evidenti, ma non abbastanza per offrire una risposta soddisfacente. Resta infine un senso di arbitrarietà nel modo in cui vengono tracciati i confini di ciò che Dio può o non può fare, perché le contraddizioni logiche sono considerate impossibili anche per Dio, mentre altri limiti vengono esclusi? Su quale criterio si fonda questa distinzione, e chi ha l’autorità di stabilirla? Finché queste domande rimangono aperte, l’onnipotenza divina rischia di apparire meno come una proprietà metafisica chiara e più come un compromesso teorico, costruito per proteggere la coerenza di un sistema di idee più che per illuminare il mistero che pretende di descrivere.

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