THE DARK SIDE OF THE RAINBOW
L'uomo ha sempre cercato di mettere ordine umano nel caos. Il mito di The Dark Side of the Moon sincronizzato con Il Mago di Oz, noto come Dark Side of the Rainbow, ne è un esempio emblematico. Due opere nate in contesti lontani, unite dall’idea che la musica dei Pink Floyd possa accompagnare, con precisione quasi rituale, il viaggio di Dorothy sulla strada di mattoni gialli. È un’ipotesi affascinante non perché sia vera, ma perché risponde a un bisogno antico, quello di credere che esista un disegno.
[Provate. Scaricate il film e l'album, fate coincidere l'inizio dell'album con il terzo ruggito del leone della MGM... e buona visione]
Quando il tornado si solleva sulle note di The Great Gig in the Sky, o quando il mondo passa dal seppia al colore sul tintinnio di Money, la coincidenza assume la forma del segno. Non importa che i Pink Floyd abbiano sempre negato qualsiasi intenzionalità, l’allineamento funziona comunque, perché è leggibile. Ed è proprio questa leggibilità a renderlo significativo. L’ordine non è scritto nelle cose, ma emerge dall’atto di interpretarle.
Da un punto di vista antropologico, questo impulso non è un’anomalia cognitiva, bensì una costante culturale. L’uomo ha sempre sovrapposto mappe simboliche alla realtà per renderla abitabile. Le stelle sono diventate destini, i sogni messaggi, gli eventi presagi. Le discipline gnostiche [astrologia, divinazione, lettura dei segni] nascono come tecnologie interpretative, tentativi sistematici di dialogare con una Creazione percepita come perfettamente funzionante e, dunque, necessariamente significativa.
La macchina umana riflette questa stessa logica. Il cervello è un dispositivo di connessione instancabile, progettato per riconoscere pattern e trasformare il caso in narrazione. L’apofenia non è un difetto, ma una funzione. La capacità di attribuire senso dove il senso non è immediatamente evidente. È lo stesso meccanismo che ha garantito la sopravvivenza della specie e che, oggi, alimenta nuove forme di sacralità laica.
In questo quadro, Dark Side of the Rainbow appare come una pratica divinatoria contemporanea. Non si interrogano più le stelle, ma le tracce audio, non si osserva il cielo, ma il minutaggio. L’astrologia convive con l’algoritmo, l’oracolo con la playlist personalizzata. Cambiano i supporti, non la domanda di fondo... c’è qualcosa che tenga insieme tutto questo?
La Creazione, osservata nella sua precisione funzionale [dai cicli cosmici alle sinapsi] sembra autorizzare il sospetto di un disegno. Ma quel disegno potrebbe non manifestarsi come una verità oggettiva, potrebbe consistere, più semplicemente, nella nostra capacità di cercarlo.
Dark Side of the Rainbow non è quindi né una prova né un inganno. È un atto creativo collettivo, una sincronizzazione che esiste solo finché qualcuno la guarda. Non dimostra che nulla sia stato casuale, ma che nulla resta casuale una volta attraversato dallo sguardo umano. La connessione non è nascosta in un piano segreto dell’universo, è inscritta nella nostra struttura cognitiva, in questo bisogno irriducibile di rendere il mondo leggibile.
Forse non esiste un disegno divino nel senso forte del termine. Ma esiste una macchina, l’uomo, che non può fare a meno di tracciarlo.
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