LA LUNA E L'URSS
Quando si parla di negazionismo dello sbarco sulla Luna, la risposta più gettonata dai complottisti è sempre la stessa: “È stato tutto un film, una messinscena hollywoodiana!”. A nulla servono le prove scientifiche, le rocce lunari portate a casa dalle missioni Apollo, i riflettori laser che ancora oggi rispondono ai segnali dalla Terra, o le foto dei siti di atterraggio scattate dalle sonde moderne. Per i negazionisti, è tutto un gigantesco complotto orchestrato dalla NASA per umiliare l’Unione Sovietica, il grande rivale della Guerra Fredda. E non stiamo parlando di un’unica messinscena, ma di ben sei sbarchi, da Apollo 11 a Apollo 17, con 12 astronauti che hanno lasciato impronte, strumenti, un rover e, sì, persino escrementi sulla superficie lunare. Ora, si può dire tutto di questa storia, ma pensare che i sovietici, maestri di propaganda e ossessionati dai primati, si siano semplicemente “rassegnati” a perdere la faccia senza fiatare è francamente assurdo. Anzi, è proprio il loro silenzio a gridare più forte di qualsiasi teoria complottista, avvalorando la realtà di quelle missioni. Pensiamoci: la Guerra Fredda era una gara di prestigio, una lotta per dimostrare chi fosse il migliore. I sovietici hanno aperto la corsa allo spazio con Sputnik, hanno mandato il primo uomo nello spazio, Yuri Gagarin, e poi la prima donna, la leggendaria Valentina Tereshkova, nel 1963. Gli americani? Hanno dovuto aspettare vent’anni, fino al 1983, per vedere Sally Ride in orbita. Ogni primato era un trofeo da sbandierare, un colpo al morale dell’avversario. Se i sovietici avessero avuto anche solo il sospetto che gli sbarchi fossero finti, avrebbero gridato al mondo intero, magari all’ONU, mostrando prove di trasmissioni radio fasulle o di anomalie nei dati. Invece, niente. Brezhnev mandò persino un telegramma di congratulazioni a Nixon dopo Apollo 11! I loro satelliti Cosmos e le stazioni di ascolto a terra, come quelle in Crimea, monitoravano ogni segnale delle missioni Apollo, captando trasmissioni con il ritardo di 1,3 secondi tipico della distanza Terra-Luna. Se fosse stato un set cinematografico, l’URSS lo avrebbe smascherato in un attimo, perché non c’era amore tra le due superpotenze: si spiavano, si sabotavano, si sfidavano senza sosta. E poi c’è la questione del primato femminile, un punto che rende il complottismo ancora più ridicolo. I sovietici adoravano usare le donne come simbolo della loro superiorità ideologica: Tereshkova non era solo un’astronauta, era la prova vivente del “socialismo egualitario” contro il “capitalismo maschilista”. Dopo di lei, Svetlana Savitskaya nel 1982 e 1984 rafforzò questa narrazione. Se gli sbarchi fossero stati una finzione, perché non rispondere con un loro “film”? Immaginate una cosmonauta che pianta la bandiera rossa sulla Luna, diretta da un ipotetico “Stanislao Kubrikov” sovietico, magari con un aiutino dagli americani in un assurdo patto di complicità. Ma no, l’URSS non aveva la tecnologia per mandare umani sulla Luna. Il loro razzo N1, pensato per competere con il Saturn V, esplose in tutti e quattro i test tra il 1969 e il 1972. Senza un razzo affidabile, niente missioni umane. Invece di un allunaggio, si concentrarono sulle sonde robotiche come Luna 16, che riportò campioni lunari – campioni che, tra l’altro, confermarono la geologia studiata dagli americani, visto che le due nazioni si scambiarono rocce per analisi. E qui crolla un’altra tesi complottista: perché collaborare su campioni “falsi”? Le prove materiali sono schiaccianti: 382 kg di rocce lunari, studiate da scienziati di tutto il mondo, riflettori laser che chiunque con un telescopio decente può verificare, siti di atterraggio fotografati dalla Lunar Reconnaissance Orbiter. Persino i rifiuti umani – sacchetti di escrementi, urina processata, un giavellotto improvvisato – sono lì, muti testimoni di una presenza reale. Se fosse stato un film, Hollywood avrebbe prodotto una saga in sei episodi, e l’URSS? Avrebbe fatto lo spettatore passivo? Improbabile. I sovietici, con la loro tradizione cinematografica alla Eisenstein o Tarkovsky, avrebbero potuto mettere in scena il loro allunaggio, magari con un’attrice protagonista per rubare la scena. Ma non lo fecero, perché non potevano. Il loro silenzio non è rassegnazione, è la prova che gli Stati Uniti hanno davvero conquistato la Luna, sei volte, lasciando un segno indelebile nella storia. E i complottisti? Continuano a ignorare l’ovvio, ma la Luna, con le sue impronte e i suoi relitti, racconta una verità che non ha bisogno di copioni.
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