FANTACALCIO


Il dover scegliere o essere scelti: un’esperienza universale

Il dover scegliere o essere scelti è capitato a tutti, anzi, proprio a tutti.

Fin dalle scuole elementari — oggi “primarie di primo grado”, un nuovo termine che ha perso un po’ di poesia e risulta meno immediato — o nei giochi in strada tra amichetti, siamo stati chiamati a fare una scelta per formare una squadra.

Il rito è sempre lo stesso e, grazie ai film, sappiamo che vale in tutto il Pianeta e in ogni tempo.

La scelta della squadra è il primo passo verso la vittoria o, perlomeno, per disputare una partita dignitosa.

La scelta comincia dai più forti, i considerati migliori; in campo farmaceutico li chiameremmo “principio attivo”. Scendendo via via verso gli “eccipienti”, sempre meno importanti, scelti solo per fare numero e salvare una parvenza di “parità sportiva”. Nella gerarchia sportiva sono chiamati gregari, mediani, per dirla alla Ligabue.

Importantissimi, diciamolo subito: senza i gregari che ti sostengono, assistono e supportano durante la prestazione non si va lontano. Se vuoi andare forte corri da solo, ma se vuoi andare lontano corri in compagnia.

Dimmi che squadra hai e ti dirò il tuo potenziale, fino a dove potresti arrivare e quali obiettivi ragionevolmente raggiungere.

Negli ultimi anni, soprattutto con l’avvento dei social, ha preso piede il fenomeno del Fantacalcio, dove la scelta della squadra è fondamentale per un buon gioco. Lo conosciamo tutti, non lo spiego, ma sostanzialmente si cerca di avere una rosa di calciatori che permetta di ottenere i punteggi più alti possibili.

Una delle strategie vincenti è quella di avere pochi “perdenti” in rosa, possibilmente nessuno. Per questo si cerca di schierare calciatori che non ottengano malus come ammonizioni, espulsioni, rigori subiti, autoreti, ecc.

Ecco, parlare di autoreti mi fa subito tornare indietro nel tempo, a quando, da piccolino, andavo a vedere il mio Cagliari nel mitico stadio di Amsicora con mio nonno Antonio e mio zio Luigi “Louis”, nato a Marsiglia. Veramente mi ci portavano loro, perché del calcio, francamente, non mi è mai interessato molto, però mi piaceva tutto dello stadio: i cori, le bandiere, il rito del sale sul campo per portare fortuna e, soprattutto, i semini di zucca e le noccioline. IMMANCABILI... e i miei bodyguard non mi lasciavano mai a secco.

Era il Cagliari dei grandi campioni, dello scudetto — l’unico mai vinto — ma fu uno scudetto che valeva più di un semplice scudetto. Quello del campionato 1969/70 aveva il sapore del riscatto di un’intera regione, anzi, di un’intera nazione: quella sarda.

Solo a ricordare i nomi della formazione ancora tremano i polsi, e in ogni bar o ufficio sardo difficilmente manca una foto della squadra appesa.

Per non parlare del mito, dell’eroe del Cagliari [e non solo]: Gigi Riva.

Lo si trova affisso in ogni bar, con tanto di dedica al titolare dell’esercizio, come per Peppino Garibaldi, a cui è dedicata una targa che ricorda il suo pernottamento.

Albertosi, Martiradonna, Zignoli, Cera, Niccolai, Tomasini, Domenghini, Nenè, Gori, Greatti, Riva.

Allenatore: Manlio Scopigno.

La formazione la si conosceva a memoria, come una poesia di Leopardi o Ungaretti.

Se il Fantacalcio fosse esistito allora, li avremmo voluti tutti nella nostra squadra… tutti tranne uno:

“Comunardo Niccolai”.

Niccolai sarà perennemente ricordato come il più grande marcatore della storia del calcio… ma fatti contro la porta sbagliata, insomma, autoreti.

In guerra sarebbe quello responsabile del “fuoco amico”, colui che mentre tutti sparano verso le trincee nemiche, spara ai propri compagni, al petto.

Memorabile l’autogol inflitto al portiere della nazionale italiana di allora, Enrico Albertosi, durante una partita contro la Juventus, oh un autogol dal centrocampo, sempre ad Albertosi, perché pensò che il fischio proveniente dagli spalti fosse un rigore assegnato dall’arbitro agli avversari. Un gol da centrocampo ad Albertosi, mica pizza e fichi.

Quindi, un Niccolai non lo sceglieremmo mai, in nessuna squadra, perché ogni tifoso conosce la sua storia, le statistiche e le qualità.

Purtroppo, l’italiano “politico” non si pone gli stessi problemi; anzi, della storia, delle statistiche e delle qualità del politico che va a votare, a scegliere per la propria squadra, se ne frega altamente.

Parafrasando Winston Churchill: “Gli italiani sono bravi nel creare squadre di calcio vincenti, ma negati nel creare squadre politiche”.

Per capire quanto gli italiani, in generale, non capiscano di politica ma siano bravissimi nel calcio, basta ascoltare una qualsiasi trasmissione TV o radio sportiva. Personalmente ascolto Radio 24, dove c’è un’eccezionale trasmissione sportiva chiamata “Tutti convocati”.

Immancabilmente il pubblico può chiamare in diretta ed esprimere il proprio parere o analisi sportiva e, sinceramente, chi interviene lo fa con cognizione di causa, conosce la storia, anche non recente, della squadra, le statistiche e le qualità di un calciatore, ecc. Le domande o le analisi sono sempre corrette e obiettive. Certo, qualche tifoso sfegatato chiama, ma è pronto ad ammettere e accettare l’eventuale correzione da parte degli ospiti in studio, e viceversa. Il tutto senza urlare o mandarsi a quel paese, pacatamente e in simpatia.

Tutt’altro clima, invece, in un’altra trasmissione sempre di Radio 24, questa volta politica: “La Zanzara”, condotta dal dinamico duo Giuseppe Cruciani e David Parenzo.

Lì tutto cambia e, al contrario dello sport, se non si è un “tipo da zanzara”, se si è pacati, cortesi ed educati, si viene “segati” e cacciati con un bel “vaffa”.

Il problema è che in questa trasmissione — ma vale anche per luoghi meno estremi, anche nei salottini più o meno buoni della TV o radio — si creano veri e propri “mostri” che esaltano il pubblico “politico”, facendone delle vere e proprie politic-star, acchiappa-voti, capaci di riempire teatri o piazze solo per il fatto di sostenere uno sproloquio scorretto, maleducato e “asfaltante” contro l’avversario.

Che poi sia un perfetto idiota, un omofobo, un cialtrone o ciarlatano poco importa: “È un vero patriota”, “Lui sì che se ne frega del politicamente corretto e dice frocio, negro, troia senza problemi… io lo voto perché lo voglio fare anch’io”.

L’italiano si accaparra la figurina del “mostro” e più ne ha, più è contento.

Poi, durante la partita, il “mostro” si comporta per quello che è: un idiota. Ma non importa, è bravo ad asfaltare questo o quello, irrompere nel decoro e nella dignità dell’Aula fischiando e agitando un cartellino rosso, oppure parlando di scie chimiche, alieni, poteri forti, complotti, termometri posti vicino agli aeroporti o evocando suggestioni di ideologie criminali di cento anni fa (un po’ come se mio padre, negli anni ’60, evocasse Garibaldi e la sua spedizione).

All’italiano, in fondo, non importano tanto le Coppe europee, ma ha sempre in mente il campionato nazionale, soprattutto perché dura di più e possono giocarci anche squadre che alle Coppe non ci arriveranno mai.

Lo stesso accade per la politica: in Europa ci mandiamo i “mostri” perché i fuoriclasse rimangono a giocare il campionato, e poi passano il tempo a criticare la poca incisività nelle Coppe. I risultati si vedono.

Ma la cosa triste è che i nostri “mostri” andranno a giocare per squadre europee composte da altri “mostri”, da squadre di soli Comunardo Niccolai, anti-europei, sovranisti, che giocano contro di noi, sparandoci al petto ma passando “da dietro”.

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