BORGES E L'INTELLIGENZA ARTIFICIALE
In questi giorni mi sono scaricato un racconto distopico che lessi tanti anni fa, "La biblioteca di Babele" di Jorge Luis Borges, e che mi ha fatto riflettere su quanto l'autore abbia anticipato e profetizzato l'avvento dell'Intelligenza Artificiale.
Borges, con La biblioteca di Babele, crea un’immagine tanto semplice quanto vertiginosa: una biblioteca infinita, composta da stanze esagonali colme di libri che contengono ogni possibile combinazione di lettere, spazi e segni.
In questo universo di carta e inchiostro, ogni verità concepibile – ogni poesia, ogni trattato scientifico, ogni confessione, ogni menzogna – esiste già, scritta in un volume tra gli infiniti. Ma accanto a ogni capolavoro si trovano milioni di pagine di nonsense, sequenze casuali di caratteri che sfidano ogni tentativo di comprensione.
La biblioteca è dunque il sogno e l’incubo del sapere totale: tutto è presente, ma nulla è davvero accessibile. Gli abitanti, figure tragiche intrappolate in questo labirinto di possibilità, dedicano la loro esistenza a cercare il “libro totale”, quello che potrebbe svelare l’ordine del cosmo o il significato della loro vita.
Ma la loro ricerca è condannata: l’infinità della biblioteca rende ogni sforzo futile, trasformando la sete di conoscenza in un’ossessione senza speranza.
Questo paradosso, che Borges dipinge con una lucidità quasi matematica, ci pone di fronte a una domanda inquietante: se ogni combinazione di parole esiste già, che valore ha la ricerca del sapere?
La biblioteca diventa una metafora della condizione umana, sospesa tra l’aspirazione all’assoluto e i limiti della comprensione. Non si tratta solo di accumulare conoscenze, ma di selezionare, interpretare, dare senso a un caos che, per sua natura, rifiuta ogni ordine. Gli abitanti della biblioteca, con le loro speranze e disperazioni, incarnano l’eterna tensione tra il desiderio di significato e l’abisso dell’infinito, una tensione che Borges non risolve, ma lascia vibrare come un enigma.
Questa visione si rivela sorprendentemente profetica se letta alla luce dell’era digitale. I grandi modelli linguistici dell’intelligenza artificiale, come quelli che dominano il panorama tecnologico odierno, possono essere visti come una reincarnazione digitale della biblioteca di Babele. Questi sistemi, con la loro capacità di generare testi combinando parole e frasi in modi praticamente infiniti, producono un flusso inesauribile di contenuti: poesie, articoli, dialoghi, ma anche ripetizioni sterili, errori logici o puro rumore linguistico.
Come nella biblioteca di Borges, la totalità delle possibilità è a portata di mano, ma il significato resta elusivo. L’IA, per quanto potente, non “comprende” ciò che genera: è un meccanismo combinatorio, un’eco moderna delle stanze esagonali, capace di offrire ogni risposta possibile senza sapere quale sia quella giusta. In questo scenario, il ruolo dell’umano diventa cruciale.
La biblioteca di Babele, sia quella cartacea di Borges sia quella digitale dell’IA, ci sfida a esercitare la nostra capacità di discernimento. Non basta accedere al sapere; bisogna navigarlo, filtrarlo, interpretarlo. In un’epoca in cui l’informazione si moltiplica a una velocità senza precedenti, il rischio di smarrirsi nel labirinto cresce esponenzialmente.
Ogni giorno siamo bombardati da dati, notizie, testi generati automaticamente: come gli abitanti della biblioteca, possiamo lasciarci travolgere dal caos o imparare a cercare connessioni, a distinguere il rilevante dall’irrilevante, la verità dal nonsense.
La lezione di Borges è più attuale che mai: la conoscenza non è un oggetto da possedere, ma un processo attivo, un atto di creazione che nasce dalla capacità di porre domande e costruire significati.
Questo richiama un altro aspetto profondo del racconto: il rapporto tra infinito e finitezza. La biblioteca di Babele è un simbolo dell’infinito, un luogo dove ogni possibilità esiste, ma è proprio questa totalità a rendere il sapere inaccessibile. L’umano, con la sua finitezza – di tempo, di capacità cognitive, di prospettive – si scontra con l’immensità del possibile.
Eppure, è proprio in questa limitatezza che risiede la nostra forza. La creatività, l’intuizione, la capacità di attribuire valore a ciò che troviamo sono qualità squisitamente umane, che nessuna macchina combinatoria può replicare.
Nella biblioteca, come nell’era dell’IA, l’umano non è solo un navigatore, ma un poeta, un interprete, un costruttore di senso. L’attualità del racconto di Borges si estende anche al nostro rapporto con la tecnologia. L’IA, con la sua promessa di automatizzare la produzione di conoscenza, rischia di farci cadere nella trappola di credere che il sapere possa essere ridotto a un accumulo di dati.
Ma la biblioteca di Babele ci ricorda che il vero sapere nasce dal dialogo tra l’uomo e il caos, dalla capacità di scegliere, di dubitare, di immaginare. In un mondo in cui l’IA amplifica il volume delle voci, la responsabilità di chi naviga tra questi scaffali virtuali diventa sempre più grande.
Non si tratta solo di trovare il libro giusto, ma di imparare a leggere il mondo con occhi nuovi, trasformando il labirinto infinito in un cammino di scoperta.
In fondo, sia nella biblioteca di Borges sia nell’universo digitale, il vero protagonista resta l’umano, con la sua insopprimibile sete di senso e la sua capacità di dare ordine al caos, una pagina alla volta.
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