GUARDIE E LADRI

La solita sceneggiata: un brigadiere viene ucciso durante una rapina, i suoi colleghi reagiscono e uno dei malviventi muore nello scontro, e subito scatta l’indagine “a tutela della giustizia”. 

Certo, perché siamo in uno Stato di diritto, non in una giungla, e anche chi ha il compito di difenderci deve sottoporsi al controllo della legge, per quanto possa sembrare paradossale o frustrante per chi rischia la vita ogni giorno. L’autopsia sul corpo di Michele Mastropietro, disposta dal pubblico ministero per chiarire se il colpo fatale sia arrivato nel primo o nel secondo scontro, è un esempio perfetto di questa necessaria lente d’ingrandimento che la giustizia impone, perché nessuno può arrogarsi il diritto di decidere chi vive e chi muore senza che tutto venga valutato con rigore.

È un atto dovuto, fastidioso forse, ma indispensabile per evitare che lo Stato si trasformi in un branco di giustizieri incontrollati. Insomma, mentre la politica e l’opinione pubblica si dividono tra solidarietà agli agenti e difesa del principio di legalità, l’indagine resta il baluardo che garantisce che il potere non sfugga al suo stesso mandato. E se questo significa mettere sotto inchiesta chi ha sparato per difendere la collettività, pazienza: è il prezzo da pagare per non rinunciare a uno Stato che si fonda sul diritto e non sulla vendetta.

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