IO AVRÒ CURA DI TE


Quando parliamo di genitorialità e di cosa serva davvero per crescere bene un bambino, spesso ci troviamo di fronte a convinzioni radicate che sembrano più il frutto di tradizioni che di evidenze concrete. Eppure, se guardiamo all'esperienza di intere generazioni di famiglie arcobaleno nei Paesi del Nord Europa, scopriamo una realtà che sfida molti dei nostri preconcetti e ci offre una prospettiva completamente diversa su cosa significhi essere genitori.

L'Europa settentrionale è stata pioniera nel riconoscere forme familiari diverse da quelle tradizionali, e questo non per caso o per moda, ma con una lungimiranza che oggi possiamo apprezzare appieno. La Danimarca ha riconosciuto le unioni civili omosessuali già nel 1989, seguita dalla Norvegia e dalla Svezia negli anni '90. Questo significa che oggi abbiamo davanti a noi non solo una prima generazione di bambini cresciuti in famiglie omogenitoriali, ma addirittura seconde e terze generazioni, un campione di osservazione che non ha precedenti nella storia. È come avere un grande esperimento sociale che si è sviluppato naturalmente nel corso di decenni, permettendoci di vedere davvero cosa succede quando i bambini crescono in contesti familiari che sfidano i modelli tradizionali.

E cosa ci dice questa esperienza pluriennale? I risultati sono tanto sorprendenti quanto chiari: non c'è assolutamente alcuna differenza tra bambini cresciuti in famiglie tradizionali e quelli cresciuti in famiglie arcobaleno.

La genitorialità, nella sua essenza più pura, è un atto di creazione e responsabilità che supera le strutture tradizionali, le categorizzazioni sociali e culturali. La filosofia ci insegna che la famiglia non è un’entità rigida e immutabile, ma una costruzione fluida, modellata dalle esigenze umane e dalle evoluzioni storiche. Platone, nei suoi dialoghi sulla società ideale, vedeva l’educazione e la cura dei bambini come un compito collettivo, svincolato dai legami di sangue e radicato nei principi di giustizia e bene comune. Aristotele, pur con una visione più tradizionale, riconosceva che il valore della genitorialità risiede non tanto nella struttura familiare, quanto nella qualità della guida morale e intellettuale offerta. Oggi, le evidenze empiriche confermano questa intuizione: il benessere dei bambini non dipende dal genere o dall’orientamento sessuale dei genitori, ma dalla stabilità, dall’amore e dall’impegno che ricevono. È in questo impegno che risuona la promessa universale cantata da Franco Battiato: “Io avrò cura di te”, un verso che sintetizza l’essenza della genitorialità come dedizione incondizionata all’altro.
La genitorialità, dunque, è più un’esperienza ontologica che biologica. È l’atto di accudire, di donarsi con una dedizione che trascende ogni modello imposto.

L’Europa del Nord, con la sua apertura alle famiglie arcobaleno, non ha solo ampliato le forme di convivenza, ma ha sfidato l’ontologia tradizionale della genitorialità, mostrando che essa si fonda sull’impegno e non su norme culturali rigide. È una relazione dinamica, un processo di apprendimento reciproco, una costruzione identitaria per il bambino e per il genitore, un continuo rinnovarsi di quella promessa: “Io avrò cura di te”.
In questo processo di ridefinizione della famiglia, emerge un principio che la filosofia ha sempre cercato di affermare: l’essenza della cura è l’essenza dell’umanità. 

Essere genitori significa incarnare i valori fondamentali dell’etica: essere presenti, essere guida, essere sostegno. Non è una questione di natura, ma di scelte, di responsabilità, di amore autentico.
“Io avrò cura di te” non è solo una dichiarazione, ma un impegno che definisce il genitore come colui che si dedica alla crescita e al futuro dell’altro.

Ciò che l’Europa del Nord ci insegna, quindi, non è solo che i bambini prosperano nelle famiglie arcobaleno, ma che la genitorialità, liberata dai vincoli ideologici, rivela la sua vera natura: un atto di assoluta apertura verso l’altro, un impegno a costruire insieme un futuro, indipendentemente dalle convenzioni sociali. Questo non è solo un dato sociologico, ma una realtà filosofica che interroga il nostro modo di intendere le relazioni e il senso della vita stessa, racchiuso in quelle semplici, potenti parole: “Io avrò cura di te”.

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