LA DAMIGIANA DI LATIMER
Ci scandalizziamo per un canarino in gabbia mentre trasformiamo metodicamente il pianeta in un lager a cielo aperto. L'uccello prigioniero è almeno nutrito e protetto; noi stiamo lentamente avvelenando la nostra stessa fonte di vita con la meticolosità di un suicida che dosa il veleno goccia a goccia. Gli acquari poi possono suscitare fascino se abbastanza ampi, ma quanto è "abbastanza" quando si tratta della Terra?
Stiamo forse scoprendo che nemmeno otto miliardi di chilometri quadrati di superficie sono sufficienti per contenere la nostra voracità distruttiva. Ogni giorno riduciamo ulteriormente le dimensioni effettive del nostro habitat: foreste che scompaiono, oceani che diventano discariche di plastica, atmosfera trasformata in cloaca gassosa. Il nostro "acquario" si rimpicciolisce mentre noi continuiamo a moltiplicarci e consumare.
L'esperimento di David Latimer dovrebbe proprio farci tremare di vergogna. Nel 1960, questo botanico inglese sigillò una piccola pianta di Tradescantia in una damigiana di vetro, innaffiandola un'ultima volta nel 1972. Sono passati oltre sessant'anni, e quell'ecosistema microscopico continua a prosperare in perfetto equilibrio, autosufficiente, silenzioso testimone di ciò che la natura sa fare quando l'uomo non interferisce. Quella pianta ha creato il suo paradiso in prigione, mentre noi stiamo trasformando il nostro paradiso in prigione.
La damigiana di Latimer è una lezione brutale: un sistema chiuso può funzionare magnificamente se gli elementi che lo compongono rispettano le regole dell'equilibrio. La pianta produce ossigeno di giorno e anidride carbonica di notte, le foglie morte si decompongono nutrendo il terreno, l'umidità si condensa e ricade come pioggia in miniatura. Un ciclo perfetto, un'armonia che noi abbiamo dimenticato come si fa.
Noi, invece, siamo come bambini psicopatici che spaccano i giocattoli per vedere cosa c'è dentro. Spacchiamo la crosta terrestre per estrarre petrolio, spezziamo le catene alimentari, frantummiamo gli ecosistemi e poi ci stupiamo quando tutto smette di funzionare.
La Terra non è un acquario da ammirare: è diventata un laboratorio di vivisezione dove noi siamo contemporaneamente gli sperimentatori sadici e le cavie condannate.
La libertà degli uccelli è negata dalle nostre gabbie; la nostra libertà è negata dalla nostra stupidità. Ci siamo costruiti una prigione di cemento, asfalto e smog, e abbiamo chiamato tutto questo "progresso". Viviamo in città che sono gabbie collettive dove l'aria è irrespirabile, il cielo invisibile, il silenzio impossibile. Abbiamo barattato il volo con l'automobile, il canto con il rumore, la libertà con il consumo.
Ma la beffa più amara è che, a differenza degli uccelli in gabbia, noi abbiamo le chiavi della nostra prigione e continuiamo a fingere di non trovarle. Ogni giorno scegliamo di stringere le sbarre un po' di più, di ridurre ulteriormente lo spazio vitale, di rendere l'aria un po' più tossica.
E poi parliamo di libertà mentre soffocchiamo. L'esperimento di Latimer ci dice che l'equilibrio è possibile, che la vita trova sempre una strada se le si lascia un minimo di spazio per respirare. Ma noi abbiamo scelto di essere i vandali del nostro stesso ecosistema, i piromani della nostra casa. Non siamo custodi: siamo occupanti abusivi che stanno trasformando il paradiso terrestre in un inferno climatizzato.
La vera libertà non è volare via da questo disastro - dove potremmo andare, poi? - ma trovare il coraggio di smettere di mentire a noi stessi. Smettere di chiamare "qualità della vita" quello che è solo quantità di consumi. Smettere di confondere il benessere con l'accumulo di oggetti inutili prodotti sfruttando e distruggendo tutto ciò che tocchiamo. La damigiana di Latimer prospera da sessant'anni in perfetta autosufficienza. Noi non riusciamo a mantenere l'equilibrio nemmeno per un decennio senza provocare una catastrofe. Forse è ora di ammettere che la pianta in quel contenitore di vetro è più intelligente di noi: ha capito che in un mondo chiuso, distruggere significa autodistruggersi.
La libertà non è solo il volo degli uccelli o lo spazio aperto, ma la capacità di agire con coscienza, di preservare l'armonia del nostro "acquario" comune. Solo così potremo evitare che la nostra casa comune diventi una gabbia angusta, un ambiente avvelenato e sterile, dove la vita si spegne lentamente.
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