LO STRUZZO CHE DICE CONIGLIO AL CANE DA GUARDIA

Oh, che circo meraviglioso!

Le piazze di Roma, Parigi o Berlino pullulano di crociati dell’umanità, pronti a sbraitare contro orrori in paesi lontani, dove, toh, sorpresa, aprire bocca ti farebbe vincere un biglietto di sola andata per una cella o una bara.
Ma vuoi mettere la comodità di urlare in democrazia? Poltrona, pizza fumante, Wi-Fi sparato e via, si salva il mondo con un hashtag e zero rischi.

E poi, immancabile, arriva il ritornello dei sapientoni: “Se ci tenete tanto, andate a protestare laggiù, invece di fare i rivoluzionari da divano!

Che perla di saggezza, spesso sparata proprio dai governi, dai loro media compiacenti o dai militanti telecomandati, che ti indicano la via dell’esilio per zittirti. Ma guarda un po’, che coincidenza: sono proprio loro, i potenti, a spingere questo mantra per sviare l’attenzione, per non farti guardare troppo da vicino la loro ipocrisia puzzolente.

Protesta altrove!” è il trucco perfetto per nascondere che le loro mani sono sporche di accordi loschi, vendite d’armi o silenzi complici.
Sveglia, gente: la democrazia serve a questo, a usare la libertà di parola per inchiodare chi ci governa, anche quando il disastro è a migliaia di chilometri. Ricordate le proteste contro l’apartheid? Quei fighetti di Londra e New York che si agitavano per un regime lontano? Non erano forse loro a pressare i governi per mollare il Sudafrica? E, toh, il loro attivismo da “salotto” ha aiutato a smontare un sistema schifoso. Ma certo, protestare senza rischiare la pelle è meno epico che giocare all’eroe in una township, no?

E parliamoci chiaro: quando a Roma si urla contro Israele, non è solo un capriccio da radical chic. È un calcio nei denti alle politiche di casa nostra, che firmano contratti d’armi o accordi diplomatici mentre fanno i finti tonti. Altro che hobby da social, è una richiesta di coerenza – concetto alieno a chi vive di scroll compulsivo o di comunicati stampa governativi.

Il succo è amaro ma semplice: i diritti umani non sono un gadget da tirare fuori quando fa comodo. Kant, con la sua “pace perpetua”, l’aveva capito, mentre noi ancora ci arrabattiamo con chi ci dice di protestare altrove per non disturbare il loro gioco sporco. Certo, ci sono i soliti difetti: paternalismo, indignazione a intermittenza, strumentalizzazioni da due lire e l’ipocrisia di chi ignora il marcio di casa propria. Tutte scuse per chi preferisce il calduccio dell’indifferenza.

L’alternativa? Il silenzio, quello sì davvero complice, mascherato da neutralità. Le scelte dei nostri governi possono massacrare vite lontane, e noi, privilegiati delle democrazie, abbiamo il dovere di aprire la bocca. Non per fare gli eroi da tastiera, ma per non essere complici di schifezze altrui. E se protestare da qui è più sicuro, è anche più furbo: spesso sono gli attivisti laggiù a supplicare un megafono internazionale.

Insomma, la cittadinanza non è una tessera locale, e la democrazia non è un fortino per ignorare il mondo mentre brucia. Urlare per una causa che altrove ti costerebbe la testa non è un vizio da viziati, è un dovere morale. Serve cervello, umiltà e una bella dose di autocritica, certo. Ma chi sceglie il silenzio comodo – o peggio, chi ripete a pappagallo il “vai a protestare laggiù” dei governi – non si azzardi a spacciarsi per paladino della giustizia. 

Perché la vera domanda non è se possiamo protestare per cause straniere, ma se abbiamo il fegato di non farlo, mentre i potenti ci ridono in faccia.

Commenti

Post popolari in questo blog

IL SONDAGGIONE: IO VOTO VANNACCI PERCHÈ...

È TUTTO FRUTTO DELLA FANTASIA?

DIALOGO VS MONOLOGO