SECONDO LEVI
Ecco cosa è diventata l'America nel 2025: una macchina burocratica della crudeltà che ha trasformato la deportazione dei migranti in uno spettacolo politico di rara brutalità, dove ogni cifra di arresti diventa un trofeo elettorale e ogni famiglia spezzata un successo da rivendicare davanti alle telecamere.
L'amministrazione Trump, rientrata al potere con la grazia di un bulldozer in un campo di fiori, ha deciso che tremila arresti al giorno non sono un obiettivo aberrante ma un traguardo di cui vantarsi, come se la sofferenza umana si potesse quantificare in quote di produttività burocratica. È questo il "fare grande l'America": trasformare l'ICE [Immigration and Customs Enforcement] in una fabbrica di disperazione dove gli agenti devono rispettare dei target come venditori di assicurazioni, solo che invece di polizze vendono lacrime e invece di commissioni raccolgono famiglie distrutte.
Ma ecco il bello dell'ipocrisia americana: mentre Trump si vanta del "confine più sicuro della storia", le deportazioni effettive sono persino inferiori a quelle di Biden, con appena 600 cacciati via al giorno contro i 750 della precedente amministrazione, una discrepanza che non impedisce al 54% degli americani di applaudire comunque, perché nella terra della libertà conta più il teatrino della crudeltà che la crudeltà stessa.
È una rappresentazione perfetta dell'America contemporanea: più interessata al rumore che ai risultati, più eccitata dalla performance dell'odio che dalla sua efficacia, un paese dove la cattiveria è diventata intrattenimento e la disumanità uno sport per spettatori. I sondaggi premiano la brutalità come se fosse un talent show, e probabilmente lo è: il talent per trasformare la miseria altrui in consenso politico, per fare applausi con le mani sporche di sangue innocente.
Ma il vero capolavoro di cinismo lo troviamo nelle tattiche operative di questa amministrazione, che ha deciso di revocare retroattivamente i permessi ai venezuelani trasformando da un giorno all'altro persone legalmente presenti in criminali, come se la legge fosse un interruttore che si può accendere e spegnere a piacimento per soddisfare le pulsioni xenofobe del momento. Il 24 aprile 2025 migliaia di famiglie si sono svegliate scoprendo di essere diventate illegali mentre dormivano, in una dimostrazione di sadismo burocratico che neanche Kafka avrebbe saputo immaginare. Non contenti di questa prodezza, i burocrati della malvagità hanno escogitato un trucchetto ancora più raffinato: marcare i migranti come "deceduti" nei registri della Social Security, una forma di assassinio amministrativo che li trasforma in fantasmi viventi incapaci di accedere ai servizi essenziali, spingendoli all'"auto-deportazione" attraverso l'asfissia burocratica, perché perché sporcarsi le mani quando si può uccidere civilmente con un timbro?
Persino all'interno del partito repubblicano iniziano a serpeggiare i dubbi, perché evidentemente anche i più cinici hanno un limite alla quantità di orrore che riescono a digerire prima di colazione, ma questi sussurri di coscienza arrivano troppo tardi e troppo deboli per fermare una macchina che ormai si alimenta del proprio sadismo istituzionale. L'ACLU [American Civil Liberties Union] documenta come l'amministrazione stia sistematicamente rimuovendo ogni ostacolo burocratico che durante il primo mandato aveva ancora fatto finta di rispettare, installando fedeli della disumanità in ogni posizione chiave del Department of Homeland Security, preparando il terreno per atrocità che farebbero impallidire persino i nostalgici del primo periodo trumpiano. È l'evoluzione logica di un sistema che ha scoperto che la cattiveria paga meglio della competenza e che l'odio è più redditizio della compassione.
E mentre l'America si diletta in questo festival dell'orrore domestico, il resto del mondo assiste attonito alle conseguenze di questa follia: paesi come il Salvador che si ritrovano a dover gestire il rientro forzato di migliaia di persone che non riconoscono più, che spesso hanno perso ogni legame con la società di origine e che rappresentano bombe a orologeria sociale per nazioni già devastate dalla povertà e dalla violenza. È l'imperialismo della sofferenza: l'America esporta la sua crudeltà insieme ai suoi deportati, destabilizza intere regioni e poi si stupisce se nascono nuove ondate migratorie, come se piantare semi di disperazione potesse produrre raccolti di stabilità. Ma questa è la logica perversa dell'era Trump: creare i problemi per poi vendere le soluzioni, alimentare il caos per poi proporsi come l'unico argine al disordine che si è contribuito a seminare.
Il Salvador, il Guatemala, l'Honduras diventano pattumiere umane dove l'America scarica i rifiuti della sua politica interna, senza preoccuparsi minimamente delle conseguenze a lungo termine, perché nel mondo trumpiano il lungo termine non esiste, esiste solo il prossimo ciclo elettorale e la prossima conferenza stampa dove vantarsi dei numeri della deportazione come se fossero medaglie d'oro olimpiche. È un colonialismo dell'abbandono: prima si sfruttano queste persone come manodopera a basso costo, poi le si getta via come contenitori vuoti, scaricando sui paesi di origine i costi umani ed economici di questa politica schizzofrenica che alterna sfruttamento e espulsione secondo le convenienze del momento.
Ciò che emerge da questo spettacolo desolante è un'America che ha perso ogni connessione con quei valori umanitari che un tempo, almeno nella propaganda, sosteneva di rappresentare, un paese che ha trasformato la crudeltà in virtù civica e la disumanità in patriottismo. Ogni statistica nasconde tragedie individuali che nessun sondaggio può misurare: bambini che crescono nel terrore di tornare a casa e non trovare più i genitori, famiglie che si disintegrano sotto il peso di leggi che cambiano come le stagioni, comunità che vedono evaporare il lavoro di decenni di integrazione in una sola notte di razzie. Ma tutto questo non conta, perché nell'America di oggi le storie individuali sono irrilevanti di fronte al grande teatro della politica, dove ciò che importa non è la verità ma la sua rappresentazione, non la giustizia ma la sua performance, non l'umanità ma la sua negazione spettacolarizzata. Il futuro di questa politica dipenderà non dalla sua sostenibilità morale, che è già morta e sepolta, ma dalla capacità del sistema di continuare a produrre consenso attraverso la fabbricazione del terrore, trasformando la paura in voti e la sofferenza in capitale politico, in un ciclo perverso che si alimenta della propria crudeltà e che trova nella disumanizzazione dell'altro la propria ragione d'essere.
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