TIMEO DANAOS ET DONA FERENT

Prendiamoci pure un altro caffè – il settimo della giornata, ma chi li conta più? Il barista ormai mi dà del tu e la caffeina ha sostituito il sangue – e fingiamo per un attimo di essere dei filosofi esistenzialisti, versione discount, che scrutano l’abisso... cioè, il nuovo decreto sicurezza. 

Un capolavoro, signore e signori! Altro che normativa: qui siamo alla performance artistica, roba da installazione alla Biennale di Venezia. Manca solo Marina Abramović che piange davanti al testo in Gazzetta Ufficiale.

E quindi eccoci qua, a decantare il nostro blockbuster giuridico: 14 reati fiammanti, 9 aggravanti da collezione e un menù di pene così fantasioso che farebbe tremare perfino Dario Argento. 

E come ciliegina sulla torta? Una protezione per le forze dell’ordine talmente generosa che quasi ti aspetti che inizino a firmare gli sgomberi come opere autoriali: “Questo sequestro è un Banksy”.

Ma via, mettiamoci la toga dell’intellettuale e analizziamo questo gioiello con lo sguardo acuto della filosofia politica. 

Perché noi, si sa, citiamo Hobbes come se fosse un vecchio amico di calcetto – anche se lo conosciamo solo grazie a Wikipedia e qualche meme su Instagram. 

Thomas, almeno, era onesto: “Vi do sicurezza, mi date il potere. Tutto. Non fate gli schizzinosi.” Limpido, diretto, senza troppi ghirigori.

I nostri legislatori, invece, sono artisti del non detto. Ti vendono la sicurezza come se fosse una crema antirughe miracolosa, ma nel bugiardino trovi scritto, in piccolo: “Possibili effetti collaterali: restrizione dei diritti, allergia al dissenso, eruzioni democratiche”.

Che stile! Che classe! Sono riusciti a trasformare la protesta – quell’insopportabile tic delle società libere – in qualcosa di sospetto, quasi maleducato. 

Tipo scoreggiare in ascensore, ma con aggravante di vilipendio. È come se qualcuno avesse deciso di riscrivere Hannah Arendt, ma in versione noir, con musiche inquietanti e dissolvenze in nero: “Non pensare troppo, potresti diventare un problema”.

E qui cade l’asino, anzi, il filosofo travestito da asino: se manifestare diventa rischioso quanto mangiare un triplo Big Mac vicino a un vegano, dove finisce quella “partecipazione attiva” tanto amata dai manuali di educazione civica? 

Semplice: diventa un’opzione aggiuntiva ma troppo onerosa, come i cerchi in lega su una Panda del '92. 

Foucault, da qualche parte, starà facendo l’onda con i fantasmi del Panopticon. Il "biopotere" che si concentra sulla gestione della vita biologica degli individui e delle popolazioni, finalmente, riceve il trattamento che merita: elegante, invisibile, gourmet.

Niente più tiranni con l’ascia: oggi il controllo ti arriva con lo sguardo giudicante e una circolare ministeriale. “Certo che puoi protestare... ma te la senti di rischiare cinque anni per un cartello scritto male?”

Dal punto di vista etico, siamo in pieno equilibrismo circense: lo Stato ti dice che ti protegge, ma lo fa con l’aria di chi ti consiglia vivamente di non uscire di casa. Tipo mamma iperansiosa, ma armata di manganello. È come se il medico ti curasse l'asma con un trapianto di polmone: efficace, sì... ma forse un filo esagerato.

E poi, che trovata narrativa! Inserire reati come chi strappa una borsetta, disturba il traffico, imbratta un monumento... ma con la stessa enfasi con cui di solito si parla di colpi di stato. La polpetta avvelenata ricoperta da una glassa dolce, inoppugnabile. È la sindrome del Cavallo di Troia: ti dicono “è per il bene comune” e intanto dentro ci mettono l’autorizzazione a tapparti la bocca.

E il pluralismo? Ahhh, che nostalgia. Quell’ingenuità da vecchi manuali, l’idea che servano tante voci per una società sana. Oggi l’armonia si raggiunge in modo più semplice: silenzio. E se proprio non ci riesci, ti aiutano loro. Con una bella aggravante messa lì, come un post-it: “Non dimenticare di stare zitto”.

Ontologicamente parlando – ché ci teniamo a usare parole che nemmeno Google Translate vuole tradurre – siamo davanti a una vera evoluzione della specie: dal cittadino partecipante al suddito aggiornato, versione 2.0. Ha le stesse funzioni di prima, ma non rompe le scatole. Un’app perfetta per la democrazia smart.

Alla fine, questo decreto non è solo legge. È un corso accelerato di filosofia politica applicata al tempo dell’aperitivo: ti insegna che la libertà è come il Wi-Fi del vicino – la dai per scontata, finché non sparisce. E allora sì, che ti viene voglia di uscire in piazza. Ma attenzione! Hai letto l’ultima modifica al codice penale?

E noi, intanto? Continuiamo a sorseggiare il nostro caffè, con lo sguardo stanco ma intenso da pensatori della domenica, domandandoci – con tono grave e un po’ teatrale – se la democrazia sia finita o se abbia solo messo la modalità silenziosa.

Perché, come diceva un filosofo mai citato perché troppo saggio: il potere entra in punta di piedi... e poi si siede comodo sul divano. Con i piedi sul tavolino.

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