DIO, PATRIA E CONTRAVVENZIONE
Tra le mille contraddizioni di quello che ama chiamarsi “Stato laico”, ce n’è una che brilla per assurdità: l’articolo 724 del Codice Penale. Una norma che punisce “chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità”. Attenzione: la Divinità, con la D maiuscola e in senso ampio, che non vuol dire solo il Dio cristiano, ma qualsiasi entità superiore a cui qualcuno, da qualche parte, abbia deciso di rivolgere preghiere, incensi o sacrifici. Insomma, una tutela penale per l’intero pantheon interreligioso, dal Dio unico al dio cornuto, passando per Krishna, Odino, Manitù e l’Invisibile Unicorno Rosa.
E qui comincia il festival dell’incoerenza. Perché uno Stato che si dichiara laico, cioè non schierato e neutrale verso tutte le credenze, decide però di impugnare il manganello normativo ogni volta che qualcuno se ne esce con una bestemmia. Ma mica perché insulta qualcuno in carne e ossa: no, qui si tratta di tutelare l’onore di entità soprannaturali, cioè concetti di cui lo stesso Stato – laico, si suppone – non dovrebbe occuparsi affatto.
Il paradosso è servito: si sanziona chi offende la Divinità, qualsiasi essa sia, ma si fa finta che ciò non implichi una presa di posizione metafisica. Come dire: “Non crediamo in nulla, però se insulti qualcosa in cui qualcuno crede, scatta la multa”. E già che ci siamo, la sanzione è pure simbolica – roba che costa meno bestemmiare in chiesa che parcheggiare in divieto di sosta. Il legislatore, evidentemente, voleva dare un segnale… ma senza disturbare troppo.
Dal punto di vista filosofico, la questione rasenta il grottesco: può davvero una sequenza di suoni urtare un’entità Onnipotente di cui non è neppure certa l’esistenza? E se la risposta è sì, siamo punto e a capo: lo Stato – laico, ribadiamolo – starebbe quindi ammettendo che quella Divinità, qualunque essa sia, esiste e merita protezione giuridica. Ma se non lo ammette, allora la norma è puro paternalismo spirituale: puniamo l’imprecazione non perché danneggia Dio [o Shiva o Ahura Mazda], ma perché turba chi ci crede. Insomma, lo Stato si trasforma in un terapista del trauma religioso.
Il problema si sposta così dal piano teologico a quello sociologico. Ma anche qui, le cose non migliorano. Perché se tuteliamo i sentimenti dei credenti, perché non fare altrettanto con quelli dei non credenti? Perché chi bestemmia viene punito, ma chi sbeffeggia la ragione, la scienza, i diritti civili o la memoria storica può tranquillamente continuare il suo show?
Dove sta la “blasfemia laica”? Quella contro l’intelligenza, contro la Costituzione, contro la dignità umana? Chi proclama che la Terra è piatta, che il fascismo non era poi così male, o che i vaccini sono un complotto, non insulta forse valori condivisi e faticosamente conquistati? Ma no, quelli non hanno santi protettori né codici penali al seguito. Così la tutela resta sbilenca, asimmetrica, ipocrita.
La realtà è che la bestemmia, in Italia, è un tabù travestito da reato: un modo per tenere in vita l’idea che esista ancora qualcosa di “sacro” al di sopra delle opinioni e della libertà d’espressione. Solo che quel sacro è una variabile impazzita, che cambia a seconda della religione che si offende, del contesto, dell’umore del giudice e della sensibilità dell’uditorio.
Nel frattempo, la giurisprudenza arranca, il legislatore si vergogna della norma ma non osa abolirla, e il risultato è una legge che esiste ma non vale, che punisce ma non protegge, che fa finta di essere universale ma non convince più nessuno.
Ecco allora che il vero scandalo non è la bestemmia in sé, ma la sua gestione. Se davvero crediamo nel pluralismo, nella libertà di pensiero e nella neutralità delle istituzioni, allora l’unica scelta coerente è abrogare questa norma e relegare l’offesa al sentimento religioso, quando davvero grave e mirata, nell’ambito del diritto civile o della diffamazione. Come si fa con qualsiasi altra offesa non sacralizzata. Chi si sente offeso non si nasconda dietro il dito del procedere d'Ufficio, troppo facile.
Ma denunci e dimostri l'avvenuta offesa del proprio sentimento religioso, ci metta la faccia. Occhio però, la sua Vita dev'essere coerente con i precetti religiosi, specchiata, mica ti puoi sentire offeso se fai una vita da super peccatore. Insomma, astenersi incoerenti e ipocriti... ed elettori tipo della destra.
Ma si sa, in Italia l’equilibrismo giuridico è sport nazionale: si finge laicità, ma si fa reverenza. Si blatera di pluralismo, ma si legifera con il rosario in tasca. E così, mentre la modernità bussa alla porta, noi continuiamo a discutere se dire “porco…” sia reato o solo maleducazione. Che alla fine della fiera, se sei credente non bestemmi, se non sei credente cosa bestemmi a fare?
Forse, in fondo, il problema non è la bestemmia. Il vero problema è che ci ostiniamo a credere che lo Stato debba tutelare l’invisibile, mentre ogni giorno ignora il tangibile: la dignità delle persone, la libertà di parola, la coerenza delle leggi. Quella sì che è una bestemmia. E mica da ridere.
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