IL SOTTOCORONA PERCEPITO
Ehi, avete mai notato come il meteo possa diventare un argomento di discussione più acceso di una partita di calcio? Prendete Paolo Sottocorona, il meteorologo di La7, che in un recente video si è lanciato in una vera e propria tirata contro la famigerata “temperatura percepita”. Sì, proprio quella cosa che ti fa esclamare “Oddio, faranno 40 gradi!” quando in realtà il termometro dice 35. Secondo lui, è una bufala colossale, un allarmismo inutile che non ha nulla a che vedere con la realtà oggettiva. E sapete una cosa? Ha ragione. Ma anche no. Dipende da come la guardi.
Immaginate la scena: è un caldo torrido, l’umidità ti si incolla addosso come una coperta bagnata, e il tuo amico ti rassicura: “Tranquillo, sono solo 35 gradi”. Lo guardi come se ti avesse appena detto che la Terra è piatta. Perché, diciamocelo, quando l’umidità è al 90% e non tira un filo d’aria, quei 35 gradi diventano un inferno, anche se “tecnicamente” sono solo 35. Siamo o non siamo entità sensibili, caratterizzati dalle sensazioni? Mica siamo dei termometri.
Sottocorona però ha un punto: i titoli dei giornali che gridano ai 40 gradi percepiti in Italia spesso esagerano. La realtà, dice lui, è più sfumata: mentre una parte dell’Europa soffoca, altrove — come al nord — si gira ancora in felpa, con massime che non superano i 20 gradi. Insomma, mentre noi ci sciogliamo sull’asfalto, altrove si litiga per chi deve chiudere la finestra.
Ma questo discorso sulla “temperatura percepita” va ben oltre la semplice metrica. È uno specchio di come comunichiamo il clima, oggi più che mai. Perché sì, il cambiamento climatico è reale — non è una paranoia ecologista, è un dato di fatto, una realtà che stiamo già vivendo sulla nostra pelle. L’Europa è ufficialmente il continente che si sta scaldando più velocemente, e non è una sauna da centro benessere. È un forno a cielo aperto, con ondate di calore che causano danni veri, vittime vere, crisi vere.
Ecco perché parlare di temperatura “percepita” non è del tutto sbagliato, anzi: può essere utile, può salvare delle vite. Se ti dicono che la temperatura percepita è di 40 gradi, magari ti metti in allerta, bevi più acqua, resti all’ombra. Ma se ti dicono che sono “solo” 35, rischi di sottovalutare la situazione. E allora sì, che ti becchi un colpo di calore. La percezione diventa un’arma di prevenzione. Non è scienza esatta, certo, ma nemmeno una fantasia. È la sensazione concreta che qualcosa non va, ed è su quella sensazione che la gente agisce.
E poi, diciamolo: viviamo ormai in un mondo dove la percezione conta quasi più della realtà. Prendi lo stipendio, per dire. Guadagni 1.500 euro al mese, ma tra inflazione, bollette, affitti alle stelle e il carrello della spesa che sembra una rapina legalizzata, alla fine hai la percezione di prenderne 1.000. Anzi, 900, se esci a cena una volta. Ecco, anche questa è una “temperatura percepita”, solo che ti fa sudare freddo.
Detto questo, Sottocorona ha ragione anche quando dice che dovremmo perseguire per legge la temperatura percepita — magari lo dice provocatoriamente, ma il punto è chiaro: si tratta di un concetto vago, non misurabile con precisione, come cercare di pesare il vento con una bilancia da cucina. Eppure, la gente ci crede. Perché la sente sulla pelle. Letteralmente.
Ma c’è un altro punto che vale la pena sollevare: qui nessuno sta parlando di Apocalisse imminente. Non è che domani ci svegliamo tra le fiamme e il cielo rosso sangue. Il cambiamento climatico è subdolo, graduale, e ha effetti diversi in zone diverse del mondo. In Italia, a questo ritmo, potremmo trovarci con estati sempre più secche e torride, un territorio sempre più arido, forse desertico in alcune aree. Ma paradossalmente, il Nord Africa — oggi simbolo di siccità e desertificazione — potrebbe diventare più fertile, grazie allo spostamento delle fasce climatiche.
I vigneti e gli uliveti cederanno il passo ai bananeti, palme da dattero, baobab.
E allora, domandiamoci: se in futuro le condizioni dovessero invertirsi, da dove partirebbero i barconi? E soprattutto, se l’Italia diventasse inospitale, dove andremmo noi? Come verremmo accolti?
Io la butto lì: se non bastano le ragioni etiche e morali per spingerci ad aiutare i migranti oggi, forse dovremmo cominciare a farlo per una questione di pura strategia. Perché costruire relazioni di cooperazione e solidarietà oggi, può voler dire garantirsi vie d’uscita domani. Nessuno vuole fare allarmismo, ma nemmeno dormire sonni tranquilli fingendo che tutto resti com’è.
In fondo, anche il meteo è una questione di percezione. Ma il cambiamento climatico, quello no. È una certezza. E forse dovremmo iniziare a comportarci come se lo fosse davvero, prima che il caldo non sia più solo fastidioso… ma inabitabile.
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