L'AMORE DI UN NON-PADRE


Giuseppe è forse il personaggio più enigmatico e sottovalutato della narrazione cristiana, un uomo chiamato a incarnare la paternità pur essendo escluso da ciò che normalmente la definisce. Il suo ruolo è un paradosso vivente: essere padre senza generare, proteggere senza decidere, amare un figlio che appartiene a un Altro con la A maiuscola. Fin dall’inizio, quando scopre la gravidanza di Maria e pensa di allontanarla in segreto, si trova in una situazione che sfugge completamente al suo controllo; poi arriva l’angelo, che non lo convince ma gli ordina di restare, sottraendogli di fatto l’autonomia. Non sceglie di diventare padre, gli viene imposto, e per di più in un contesto che ribalta ogni logica umana di appartenenza e generazione. E come se non bastasse, l’angelo gli toglie anche l’ultima prerogativa paterna: il diritto di dare un nome al figlio. Gesù — “Dio salva” — è un nome che dice tutto, ma non dice nulla di Giuseppe; non è lui che salva, non è la sua stirpe che continua, non è la sua volontà a battezzare la nascita. Così, da padre naturale diventa custode legale di un destino che non gli appartiene. Il racconto apre squarci teologici scomodi: se Dio “prende” Maria senza consenso di Giuseppe, che ne è del comandamento “non commettere adulterio”? La teologia risponde con la concezione verginale, eliminando il problema fisico ma lasciando intatto quello antropologico: Giuseppe è escluso dalla generazione del figlio che dovrà crescere. Eppure, questa è la famiglia che la Chiesa propone come modello: un padre che non è padre, una madre vergine, un figlio con un padre celeste più reale di quello terreno. Tutto ciò che sappiamo della famiglia viene ribaltato, e la contraddizione diventa perfezione. In mezzo a questo scenario, Giuseppe tace. Nessun “fiat” come Maria, nessuna parola registrata nei Vangeli; solo sogni e azioni. Il suo silenzio può essere letto come fede, ma anche come l’impossibilità di dare voce a un ruolo che nega se stesso. Ironia della storia: diventerà il patrono dei padri e dei lavoratori, pur non avendo potuto esercitare appieno né il mestiere di padre né quello di capo famiglia. La sua grandezza, forse, sta proprio qui: accettare di essere padre rinunciando a esserlo, amare senza possedere, proteggere senza dominare. In questo senso, Giuseppe non è solo il padre putativo di Gesù, ma un padre simbolico per tutti: chiamati a responsabilità non scelte, a un amore che non capiamo del tutto, a custodire ciò che non possiamo controllare. Una paternità impossibile che diventa, proprio per questo, la più autentica.

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