PADRE PADRONE
C'è un'ipocrisia colossale al centro della religione occidentale che nessuno sembra voler guardare in faccia: da un lato Dio viene presentato come un Padre amorevole, dall’altro ci si aspetta che i fedeli si comportino come sudditi terrorizzati, inginocchiati ogni giorno a ripetere litanie di sottomissione. “Padre nostro che sei nei cieli” dovrebbe evocare calore, vicinanza, una relazione affettuosa e libera, e invece si trasforma in un contratto a senso unico dove tu devi pregare, adorare, ringraziare – sempre – anche quando la vita ti prende a schiaffi. E guai a chiedere spiegazioni. Il paradosso è che questo Dio-padre si comporta più come un monarca assolutista in cerca di consenso perpetuo che come una figura genitoriale sana, un Dio-padrone. Un padre vero non si nutre di gratitudine obbligata, non minaccia ritorsioni eterne se non riceve abbastanza attenzioni, e soprattutto non pretende amore ogni giorno come se fosse un abbonamento. La filosofia moderna l’ha detto chiaramente: tutto questo ha più a che fare con il patriarcato e il potere che con l’amore. È il vecchio trucco di mascherare il dominio dietro il velo della tenerezza divina. Eppure i mistici lo avevano capito secoli fa, quando parlavano di liberarsi persino dell’idea di Dio per poterLo davvero incontrare, denunciando in anticipo tutta questa idolatria delle forme, delle parole, dei gesti ripetuti a vuoto. Ma niente, ancora oggi ci si aggrappa al culto come a una stampella emotiva, mentre si ignora che forse Dio si manifesta più nell’altro essere umano che in tutte le formule che gli attribuiamo. Certo, ogni tanto qualcuno prova a cambiare prospettiva – la teologia dialettica, la filosofia processuale, il sufismo, l’advaita vedanta – tutte voci che dicono: “Ehi, ma se Dio fosse con noi, non sopra di noi? Se la preghiera fosse un dialogo e non una genuflessione?” Ma il sistema regge troppo bene così com’è: Dio onnipotente, tu impotente, lui pretende, tu esegui. E poi c’è la ciliegina sulla torta, la questione della sofferenza: come può un padre affettuoso chiedere adorazione a figli che annaspano nel dolore? È folle. Un padre terreno che regalasse al figlio una vita piena di prove e poi pretendesse ringraziamenti quotidiani verrebbe portato dritto da uno psichiatra. Eppure qui si chiama “mistero della fede” e tutti zitti. La verità è che molte immagini di Dio non sono altro che specchi deformanti delle strutture umane di potere, e finché non lo ammettiamo, continueremo a confondere la paura con la devozione. Forse il vero atto religioso è vivere bene, amare senza secondi fini, cercare la verità anche quando scomoda, prendersi cura degli altri senza aspettarsi nulla in cambio. E se Dio esiste davvero ed è un padre degno di questo nome, allora non vuole preghiere ma figli che camminino a testa alta, liberi, coraggiosi, capaci di amare non per obbligo, ma per scelta.
In termini non sociali, ciò che può guidare l'uomo verso quell'ignoto, che egli cerca da che mondo è mondo, è la fede non la religione, che "qualcuno" saggiamente definì "l'oppio dei popoli". La fede, poi, a sua volta, ha diverse dimensioni, perché è un cammino di elevazione, che non tutti sono pronti a fare. Sono d'accordo con i concetti qui espressi, ma separerei la religione dalla fede, che sono due cammini completamente differenti.
RispondiElimina