PENITENZIAGITE


C’è qualcosa di irresistibilmente comico nel grande circo del panico vaccinale: da un lato miliardi di vaccinati che continuano a vivere la loro normalissima esistenza – spesa al supermercato, lite furiosa per il parcheggio, ansia per il cambio gomme – senza trasformarsi in fuochi d’artificio biochimici, dall’altro i profeti dell’apocalisse che da cinque anni tengono aggiornato il calendario della fine del mondo con la costanza con cui si collezionano le figurine Panini, spostando la data fatale con la stessa disinvoltura con cui si rinvia una cena con la suocera. È come tifare per un cavallo zoppo convinti che “stavolta vola”, mentre la realtà, dispettosa e indifferente, continua a trotterellare allegra. E più le previsioni falliscono, più la data si allontana: non era il 2021? Allora 2022. O forse 2025. Meglio 2030. Perché in fondo, senza apocalisse imminente, che gusto c’è a recitare la parte del visionario? Intanto i “condannati” vaccinati si godono la vita, mentre chi li voleva già cadaveri freschi è costretto a inventarsi nuove teorie, come un pompiere annoiato che aspetta l’incendio del secolo fissando il barbecue del vicino che s’accende e si spegne senza offrire spettacolo. La cosa davvero surreale è che questa ossessione racconta più dei profeti che dei presunti destinati a soccombere: serve un narcisismo grande quanto il cosmo per augurarsi la morte di miliardi di persone solo per poter dire “ve l’avevo detto”. E immaginiamo pure che abbiano ragione: un mattino ci svegliamo e scopriamo che medici, infermieri, scienziati, ricercatori e insegnanti sono spariti, lasciando la scena a negazionisti, guaritori olistici, venditori di cristalli e blogger laureati su Google. Un mondo così non sarebbe la rinascita, ma la sagra del pressappochismo: niente metodo scientifico, solo “linee guida flessibili di interpretazione creativa della realtà”, conferenze stampa su TikTok con meme al posto dei grafici e tisane d’origano al posto delle cure. Sarebbe come buttare alle ortiche secoli di sapere per tornare a consultare l’oroscopo prima di prendere un’aspirina. E qui spunta l’ironia più gustosa: i profeti del disastro sognano di regnare soli, ma il loro regno somiglierebbe a una fiera medievale piena di amuleti, bancarelle di intrugli e un inquietante coro di ciarlatani che urlano slogan. In pratica non un’apocalisse, ma un cabaret tragicomico. Ed è proprio in quel momento che, dal fondo del corteo, appare Frate Salvatore, il penitente di Umberto Eco nel suo memorabile "Il nome della rosa", col suo sguardo spiritato, urlando “Penitenziagiteee!”, come se fosse l’headliner della serata, ricordandoci che ogni civiltà ha i suoi profeti di sventura e che, se mai dovessero avere ragione, sarebbe tutto così ridicolo da non valere neppure la pena di viverlo.

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