ALL'ARREMBAGGIO
La solidarietà è quella cosa scandalosa che non si piega ai confini, non si lascia intimidire dai muri, non si compra né si vende. È l'elemento più sovversivo in un mondo che preferisce voltarsi dall'altra parte, il gesto che rompe il silenzio complice, che espone le contraddizioni, che fa saltare le maschere di un sistema costruito sull'indifferenza organizzata. Quando qualcuno decide di rischiare la propria libertà per portare un sacco di farina a chi è stato ridotto alla fame, non sta solo facendo beneficenza: sta gridando che la dignità umana non è negoziabile, che esistono valori più alti delle leggi scritte dai potenti per proteggere i propri privilegi. È un atto di insubordinazione morale che sfida l'architettura dell'oppressione, che rifiuta di accettare che la geografia possa determinare il valore di una vita umana. La solidarietà è l'ago che buca il pallone gonfiato della retorica ufficiale, è il dito puntato contro chi si nasconde dietro trattati, interessi, "equilibri geopolitici" - quelle parole vuote che servono a giustificare l'ingiustificabile, a dare una patina di rispettabilità alla barbarie. È il grido che squarcia il velo dell'ipocrisia istituzionale, che chiama le cose con il loro nome: fame, oppressione, genocidio. È fastidiosa, è scomoda, perché non chiede permesso e non aspetta il consenso dei potenti. La solidarietà è anarchica per natura: segue solo la legge del cuore, riconosce solo l'autorità della coscienza. Non ha bisogno di visti, di permessi, di autorizzazioni. Si muove secondo una logica che i sistemi di potere non riescono a decifrare né a controllare: la logica dell'amore universale, che vede nell'altro non il nemico, non lo straniero, non il diverso, ma semplicemente l'essere umano. E proprio per questo è potente: perché non ha bisogno di armi, di eserciti, di alleanze strategiche. Ha solo la forza di chi non accetta che l'ingiustizia sia la normalità, che l'orrore sia inevitabile, che la sofferenza degli altri sia il prezzo accettabile per la nostra tranquillità. È una forza disarmata ma non disarmante, che non cerca di conquistare territori ma di liberare coscienze. La flottiglia per Gaza non è un'operazione logistica, è un atto di solidarietà pura, e quindi un atto di resistenza. Ogni barca che solca quelle acque maledette porta con sé molto più che aiuti umanitari: porta la testimonianza che un altro mondo è possibile, che l'umanità non è ancora completamente perduta, che esistono ancora persone disposte a mettere la propria vita in gioco per affermare principi che dovrebbero essere ovvi ma che sono diventati rivoluzionari. Perché dire "non siete soli" a chi è stato abbandonato dal mondo è il gesto più rivoluzionario che si possa fare oggi. È una dichiarazione di guerra contro l'indifferenza, un rifiuto categorico dell'abbandono, una sfida lanciata in faccia a chi ha trasformato la compassione in un lusso che non tutti si possono permettere. E chi lo compie, con una barca arrugginita e un carico di speranza, sta facendo tremare le fondamenta di un sistema che preferirebbe che nessuno si accorgesse di nulla. Ogni gesto solidale è un seme di rivoluzione piantato nel terreno arido dell'egoismo contemporaneo. Non fa rumore, non occupa le prime pagine, non cambia i rapporti di forza geopolitici, ma trasforma qualcosa di più profondo: trasforma le coscienze, risveglia l'umanità addormentata, ricorda a tutti che siamo fratelli e sorelle prima di essere cittadini, consumatori, elettori. La solidarietà è la prova che la speranza non è morta, che la lotta per la giustizia continua anche quando sembra impossibile vincere. È il ponte gettato sull'abisso dell'odio, la mano tesa attraverso i muri dell'indifferenza, la voce che grida nella notte del mondo: "Resistete, non siete soli, l'alba arriverà." E forse, proprio in questo, sta la sua vera forza rivoluzionaria: nel ricordarci che siamo umani, e che essere umani significa prendersi cura gli uni degli altri, sempre, comunque, nonostante tutto.
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