L’ÉTAT, CE N’EST PAS MOI
Immaginate la scena... siete al bar con un amico, due spritz davanti, il brusio di sottofondo. Inevitabile, a un certo punto, si scivola sulla guerra in Ucraina. Puntuale come le zanzare a Ferragosto arriva il commento del politico improvvisato o del giornalista da salotto “Eh, Zelensky è un testardo, non vuole cedere un palmo di terra ai russi, così la guerra non finirà mai”.
E tu resti lì, con il bicchiere in mano, a chiederti davvero tutta la tragedia geopolitica più complessa del nostro tempo si riduce al capriccio di un uomo in maglietta verde militare?
Perché questa narrazione fa comodo a tanti. Dare la colpa a un singolo leader significa alleggerire la coscienza, niente invasioni, niente crimini di guerra, niente popoli che resistono. Solo un testardo che non vuole mollare. È la geopolitica da happy hour, tre slogan, due colpevoli designati e via, convinti di aver capito tutto.
La realtà, purtroppo, è molto meno glamour. Cedere territori – che tradotto significa consegnare milioni di persone, con le loro case, scuole e radici, a un esercito invasore – non è una firma buttata su un foglio tra un brindisi e l’altro. Non è The West Wing, non è House of Cards. È la vita reale, con una Costituzione che parla chiaro. L’articolo 73 della legge fondamentale ucraina dice che qualsiasi modifica dei confini deve passare per un referendum nazionale. Non per un tratto di penna di Zelensky, e men che meno per il parere di qualche opinionista da talk show.
E se vi sembra un dettaglio, proviamo a tradurre in termini italiani. L’Ucraina oggi ha perso circa il 20% del suo territorio sotto occupazione – all’inizio dell’invasione era il 13% [Crimea]. Sarebbe come se l’Italia si svegliasse e scoprisse che Lombardia ed Emilia-Romagna sono finite in mano a un invasore. Oppure Sicilia e Sardegna. Vi sembra leggero? Aggiungiamo il Piemonte, e stiamo parlando di 19 milioni di italiani. O, in un’altra combinazione, Lombardia, Lazio, Veneto e Puglia, 25 milioni di persone da “regalare” al nemico.
Immaginate la scena, un comunicato ufficiale annuncia che i vostri cugini a Bari, i nonni in Veneto, gli amici con cui giocavate a pallone a Milano o le persone che vi scrivono ogni giorno in chat, da domani, vivono sotto un altro Stato. Un Paese che non hanno scelto, che è arrivato con i carri armati. Davvero sareste pronti a dire “Pazienza, l’importante è che torni la pace e possiamo riprendere l’aperitivo”?
Naturalmente, la domanda vale anche se a essere “regalati” siete voi.
E non è un vezzo personale di Zelensky. I sondaggi lo dicono chiaramente, nel giugno 2024, il 52% degli ucraini rifiutava qualsiasi concessione territoriale, ad agosto, il 76% respingeva le condizioni russe. Non è il capriccio di un uomo, è la voce di un popolo che, pur bombardato, sceglie di resistere.
E allora la prossima volta che qualcuno vi dice che “è colpa di Zelensky perché non cede i territori”, provate a immaginare che vi stia proponendo di regalare non un pezzo di mappa colorata, ma la città di vostro fratello, la scuola dei vostri figli, il mare delle vostre estati.
La vera domanda non è “Perché Zelensky non firma la pace?”. La vera domanda è “Chi ha il diritto di dire a un popolo intero che deve rinunciare alla propria terra, ai propri affetti, alla propria libertà?”.
Il resto, mi spiace, sono solo chiacchiere da bar. E neanche delle migliori, quelle che ti lasciano in bocca un retrogusto più amaro dello spritz.
Commenti
Posta un commento