LIBERTO STATO IN LIBERA NATO

La questione della NATO e delle sue relazioni con la Russia rappresenta uno dei nodi più complessi della geopolitica contemporanea, e per comprenderla appieno è necessario partire da una premessa fondamentale spesso trascurata nel dibattito pubblico: la NATO non è un'entità sovranazionale dotata di volontà propria, ma un'alleanza democratica composta da trentuno Paesi i cui governi sono legittimati dal voto popolare e sottoposti al periodico giudizio elettorale. Questa natura profondamente democratica dell'Alleanza Atlantica emerge chiaramente dal suo processo decisionale, basato sul principio dell'unanimità che garantisce a ogni membro, indipendentemente dalle sue dimensioni economiche o militari, un potere di veto su qualsiasi decisione strategica. Il caso della Svezia ha offerto un esempio lampante di come funzioni realmente questo meccanismo: nemmeno gli Stati Uniti, la superpotenza egemone dell'alleanza, sono riusciti a imporre unilateralmente l'adesione di Stoccolma, bloccata per mesi dalle obiezioni della Turchia. Questo episodio smonta definitivamente la narrazione secondo cui la NATO sarebbe uno strumento di dominio americano, rivelando invece un organismo in cui anche le potenze minori possono esercitare un'influenza decisiva quando i loro interessi nazionali sono in gioco.

Il contrasto con i sistemi autoritari non potrebbe essere più stridente: mentre le democrazie occidentali rinnovano periodicamente la propria legittimità attraverso elezioni competitive, esistono regimi che si perpetuano al potere da decenni attraverso modifiche costituzionali su misura, repressione sistematica del dissenso, controllo dell'informazione e, nei casi più gravi, eliminazione fisica degli oppositori. La differenza non è solo procedurale ma sostanziale: in un sistema democratico il potere è temporaneo e condizionato dal consenso popolare, in un regime autoritario è permanente e si basa sulla forza. Tuttavia, sarebbe intellettualmente disonesto non riconoscere le responsabilità dell'Occidente in questa complessa partita geopolitica: per anni, le democrazie hanno mostrato una colpevole indulgenza verso le derive autoritarie russe, chiudendo gli occhi sui massacri in Cecenia, sull'invasione della Georgia, sull'annessione illegale della Crimea. Questa strategia dell'appeasement, dettata da considerazioni economiche e dalla speranza che l'integrazione commerciale potesse moderare gli impulsi revisionisti di Mosca, si è rivelata un tragico errore di valutazione che ha solo incoraggiato ulteriori aggressioni.

Le critiche rivolte alla NATO, come quelle relative ai bombardamenti di Belgrado, meritano un'analisi equilibrata che tenga conto del contesto storico: l'intervento in Kosovo avvenne solo dopo che il veto di Russia e Cina aveva paralizzato il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, impedendo qualsiasi azione multilaterale per fermare la pulizia etnica in corso. Di fronte a massacri sistematici e al fallimento dei meccanismi diplomatici tradizionali, la NATO si trovò di fronte a un dilemma morale: rimanere inerme mentre si consumava un genocidio o agire al di fuori del quadro legale internazionale per salvare vite umane. La scelta, per quanto controversa, rifletteva il principio che la sovranità statale non può essere invocata per legittimare crimini contro l'umanità.

La questione delle "promesse" del 1989 sulla non espansione della NATO verso est rappresenta forse l'aspetto più manipolato di questa vicenda: si trattava di dichiarazioni informali pronunciate in un momento storico irripetibile, quando l'Unione Sovietica esisteva ancora e nessuno poteva prevedere il crollo imminente dell'intero blocco comunista. Ma anche se fossero stati accordi formali e vincolanti, nessuna promessa può cristallizzare per l'eternità le scelte di Paesi sovrani che hanno il diritto inalienabile di decidere liberamente la propria politica estera e di sicurezza. I Paesi dell'Europa orientale non hanno chiesto di aderire alla NATO per capriccio o sotto pressione occidentale, ma perché la loro storia li aveva resi dolorosamente consapevoli dei rischi derivanti dalla vicinanza con una Russia dalle ambizioni imperiali mai sopite. Le vicende di Ucraina, Georgia e Cecenia hanno dimostrato quanto fossero fondate queste preoccupazioni: lungi dall'essere paranoie ingiustificate, rappresentavano la saggia precauzione di nazioni che avevano già sperimentato sulla propria pelle cosa significhi trovarsi nella sfera d'influenza russa.

La NATO del ventunesimo secolo non può e non deve essere concepita come un club esclusivo di Paesi privilegiati, ma come un'alleanza aperta a tutte le democrazie che condividono i valori di libertà, stato di diritto e rispetto dei diritti umani. In questa prospettiva, non esistono nazioni di serie A o di serie B: ogni Stato che soddisfi i criteri democratici e sia disposto ad assumersi gli obblighi dell'appartenenza all'alleanza ha il diritto legittimo di aspirare all'adesione, indipendentemente dalla sua collocazione geografica o dalle obiezioni di Paesi terzi. Pretendere di congelare per sempre gli assetti geopolitici sulla base di promesse informali pronunciate in un mondo che non esiste più significherebbe negare il principio fondamentale dell'autodeterminazione dei popoli e consegnare intere regioni del mondo a sfere d'influenza che ricordano pericolosamente la logica ottocentesca dell'equilibrio delle potenze. La vera garanzia di pace e stabilità non risiede nel rispetto di antiche spartizioni, ma nella costruzione di un ordine internazionale basato sul diritto, sulla democrazia e sulla libera scelta dei popoli di determinare il proprio destino.

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