NONOSTANTE, NONOSTANTE TUTTO
Il Dio biblico? Un grande schizofrenico celeste. Un generale furente che ordina stermini con precisione burocratica, un agnello mansueto che si lascia macellare. E noi, poveri idioti, ci tormentiamo da millenni per conciliare l’inconciliabile. Le teorie? Castelli di carte per non guardare in faccia lo scandalo: forse non stiamo contemplando Dio, ma il nostro ritratto dell’orrore.
Poi arriva la croce: colpo di genio del paradosso. Se Dio è amore e rifiuta la violenza, perché la salvezza richiede sangue? Le teorie classiche lo dipingono assetato di soddisfazione, come un capo tribù offeso. Girard ribalta la frittata: Cristo smaschera il gioco del capro espiatorio. Ma siamo sicuri? O è solo un trucco per mantenere viva la macchina sacrificale, cambiandole l’etichetta? Violenza sacra, violenza profana: due facce della stessa medaglia che noi spendiamo con sublime ipocrisia.
La nostra ricerca divina? Sintomo della nostra malattia metafisica. Non è l’intelligenza a renderci umani – ce n’è anche tra delfini e corvi – ma il prurito sublime del senso, la condanna a sentirci inadeguati, sempre a metà tra fango e stelle. Siamo le uniche bestie capaci di concepire l’infinito, condannate a vivere nel finito. Una barzelletta crudele.
Che si fa, allora? Si impone una Verità unica a colpi di dogmi? Ecco il fondamentalista, terrorista dello spirito. Si rinuncia a cercare? Ecco il nichilista, zombie del senso. L’unica via onesta: cercare sapendo di non trovare. Lucidità del naufrago che nuota verso un approdo inesistente.
Siamo tragicamente grotteschi: slanci da dio in un corpo di verme. La forza non sta nel credente beota né nello scettico sterile, ma nel guardare il nulla e piantare fiori sull’abisso. Eroismo da ubriachi sobri: cercare un senso che non verrà, resistere al male sapendo che la violenza è il nostro peccato originale e originale non è. L’unica santità alla nostra portata è questa pratica ostinata: resistere alla disperazione senza favole, alla violenza senza illusioni, all’insignificanza senza idoli. Una dignità da quattro soldi, l’unica che possiamo permetterci. Cercare, nonostante tutto, sapendo che tutto è un nonostante.
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