GIUDA, UNO DI NOI
Immagina la sala superiore, l'aria densa di pane spezzato e di vino versato, le lampade che tremolano come cuori incerti. E lì, al centro, Gesù che sa già tutto.
Sa che il bacio è già stato comprato, che i trenta denari tintinnano già nel buio, sa che il suo amico, il suo Giuda, ha già voltato le spalle alla luce.
Eppure.
Eppure prende il pane, lo intinge nel piatto comune — un gesto antico, carico di intimità. Nelle usanze orientali, quel gesto era riservato all'ospite d'onore: il pane intinto e offerto dal padrone di casa era segno di affetto, di distinzione, di fiducia. Era dire, senza parole: "Tu sei dei miei, tu sei importante, tu sei scelto."
E lo porge proprio a lui, a Giuda.
Non per beffa, non per ironia, ma perché l'amore non si ritrae mai, nemmeno quando è tradito. Anzi si china di più, si fa più piccolo, più umile, più vicino, come se volesse dire: "Anche se tu mi uccidi, io ti do ancora da mangiare. Anche se tu mi vendi, io ti compro con il mio sangue. Anche se tu esci nel buio, io resto la luce che ti cerca."
Giuda mastica quel boccone. E in quel masticare c'è già la croce, c'è già il calice, c'è già il tradimento che diventa — o potrebbe diventare — salvezza. Perché dopo quel pane, Giovanni lo scrive senza mezzi termini, "Satana entrò in lui." La luce si è fatta troppo vicina, troppo esigente. L'amore giudica non per vendetta, ma per presenza: chi lo rifiuta si condanna da sé, non perché Dio lo abbandoni, ma perché non sopporta di essere così amato.
Eppure proprio questo è il paradosso: il male entra dove l'amore si è donato fino all'ultimo. Il boccone intinto è già eucaristia, già corpo dato, già perdono che non aspetta di essere meritato. Gesù onora il suo traditore fino alla fine, lo include quando potrebbe denunciarlo, gli offre il pane quando potrebbe togliergli il posto. Perché la redenzione non è mai meritata, è sempre donata, è sempre preveniente, è sempre più grande del nostro no.
E allora capisci che ogni Eucaristia è questo: non un premio ai puri, ma un pane intinto per i traditori. Un corpo spezzato per chi lo spezza, un sangue versato per chi lo versa.
Noi siamo Giuda, tutti. Con le nostre monete nascoste in tasca, con i nostri baci calcolati, con le nostre fughe notturne.
E tuttavia il prete, che è Cristo travestito da uomo, ci guarda, sa, e ci porge l'ostia come si porge un cuore ancora caldo, dicendo senza parole: "Prendete, mangiate, questo sono io. Anche per voi. Anche se mi tradirete fra un'ora, fra un minuto, fra un pensiero."
È la follia della croce che comincia a tavola. È il paradosso di un Dio che onora il suo nemico, che ama il suo assassino, che si fa cibo per chi potrebbe masticarlo e sputarlo. "Mentre eravamo ancora peccatori," scrive Paolo, "Cristo è morto per noi."
L'amore non negozia, non aspetta, anticipa. Non dice: pentiti prima, e poi ti darò il pane. Dice: prendi il pane, e forse proprio questo ti genererà il pentimento.
Certo, il perdono va accolto, non solo offerto. Giuda riceve il boccone ma non lo accoglie, lo mastica ma non lo digerisce, esce nel buio e si impicca alla disperazione. Eppure anche lì, anche nel suo suicidio, chi può dire dove arrivi la misericordia? La Chiesa non ha mai osato condannarlo definitivamente. Il pane intinto resta offerto, anche dopo l'uscita, anche dopo il tradimento consumato, anche dopo la corda. Perché l'amore ha sempre l'ultima parola, non il peccato.
Questo è il mistero: che il supremo peccatore è il supremo amato. Che il tradimento è il luogo dove l'amore si rivela infinito. Che la cena non finisce con l'uscita di Giuda nel buio, ma continua ogni volta che un peccatore — un Giuda qualunque — si mette in fila, apre la mano, riceve il pane.
E sente, nel silenzio di quel gesto, la voce che dice: "Tu sei mio. Anche se non lo sai, anche se non lo vuoi, anche se mi tradisci. Io ti do me stesso."
E questo basta.
Questo salva.
Questo è tutto.
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