IL DONO DELLA MORTE
La morte rimane il grande mistero che attraversa ogni epoca e ogni essere umano. Nessuno può evitarla, eppure nessuno riesce davvero ad abituarsi alla sua idea. È una presenza discreta ma costante, che ci accompagna fin dall’inizio e che, anche quando la rimuoviamo, continua a dettare il ritmo segreto della vita. Forse è proprio per questo che la morte non è solo la fine di qualcosa, ma anche la condizione che rende possibile tutto il resto: l’amore, la scelta, la responsabilità, il desiderio. Senza la consapevolezza che tutto finisce, nulla avrebbe davvero valore. L’idea stessa di dono nasce da qui, perché dare ha senso solo quando si sa che non si possiederà per sempre.
In questo senso, si può dire che la morte sia un dono, ma non nel senso ingenuo o consolatorio. È un dono perché ci restituisce la misura della nostra finitezza e ci obbliga a riconoscere che nulla ci appartiene completamente: né il corpo, né il tempo, né le persone che amiamo. È il limite che trasforma la vita in qualcosa di prezioso, che ci spinge a donarla invece di consumarla. Quando sappiamo che tutto può finire, ogni gesto acquista un peso nuovo: una parola gentile, un atto di coraggio, un momento di silenzio condiviso. La morte, così, ci insegna che vivere non significa accumulare, ma offrire.
Il dono della morte è anche il dono della consapevolezza. Ci libera dall’illusione di essere invincibili, ci spinge a guardare l’altro con maggiore tenerezza, perché sappiamo che anche lui, come noi, è fragile e passeggero. Nel pensiero comune, la morte è vista come una sottrazione, come ciò che toglie e porta via. Ma se la si guarda da un’altra prospettiva, si rivela come ciò che dà forma alla nostra umanità: la capacità di dire addio, di lasciare andare, di trasmettere qualcosa che sopravvive nel ricordo e nell’amore degli altri.
Morire, in fondo, è l’ultimo atto di dono che la vita ci chiede di compiere. Non un gesto eroico, ma un ritorno: restituire al mondo ciò che abbiamo ricevuto, chiudere il cerchio aperto con la nascita. Non sappiamo dove vada a finire ciò che siamo stati, ma sappiamo che nulla scompare davvero se ha saputo toccare qualcuno. Così, la morte non è più solo la fine, ma una forma di continuità diversa, silenziosa, che si diffonde nei ricordi, nei gesti, nelle parole che restano.
Forse il senso ultimo del vivere sta proprio qui: imparare a fare della nostra vita un dono, sapendo che la morte ne sarà il sigillo. È lei che, paradossalmente, rende la vita viva, che ci costringe a scegliere, ad amare, a costruire qualcosa che vada oltre noi. In questo modo la morte non ci toglie, ma ci restituisce: ci restituisce al mondo, agli altri, al tempo che continua. E nel suo silenzio, che tanto temiamo, forse si nasconde la voce più limpida che possiamo ascoltare — quella che ci ricorda che ogni giorno, ogni incontro, ogni respiro, è già, in sé, un dono.
Condivido ogni parola di questa bustina.
RispondiEliminaIl senso spirituale, nonché psicologico, della morte ritengo svegli il valore e anche il senso della resurrezione di Cristo, in una forma non solo futuristica dell'umanità, ma concreta quotidiana, perché fatta di azioni concrete... 👏 👏 👏
Grazie grazie grazie...🌹
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