MARMITTONI 2.0
La storia della leva obbligatoria che ogni tanto rispunta come un tormentone estivo è il simbolo perfetto dell’incapacità di pensare, la soluzione magica per chi non ha voglia di affrontare i problemi veri. È il “ai miei tempi sì che si stava righi” trasformato in proposta politica da gente che probabilmente non ha mai visto una caserma neanche in cartolina.
Perché sì, niente dice “disciplina” come un Caporale che urla “muoviti coglione” a un coetaneo maggiorenne che fino a ieri studiava al liceo o all'università e che ha già girato e conosce il mondo civile, democratico, non solo i teatri di guerra.
E il paradosso è che chi la leva l’ha fatta davvero se la ricorda come un anno buttato, dodici mesi a grattarsi in attesa della libera uscita, tra furti nei magazzini, soprusi dai "nonni", superiori assenti e un senso generale di tempo perso. Altro che disciplina e senso civico: se ne usciva più cinici, più stanchi e con qualche aneddoto surreale da raccontare da ubriachi, tipo il sergente che rivendeva le razioni di cibo o il commilitone che si fingeva pazzo per farsi riformare. Ma no, per i nostalgici dell’ordine bastava la divisa e un po’ di urla per creare cittadini modello, come se il problema fosse che i giovani non marciano abbastanza invece che il fatto che non hanno scuole decenti, genitori presenti, lavori stabili o un futuro che non sembri un vicolo cieco. E poi c’è la solita ipocrisia, perché la leva è sempre stata classista: i figli dei ricchi si facevano riformare o andavano all’estero, quelli degli operai restavano a pulire latrine e a sentirsi dire che erano la feccia della nazione da qualche "superiore" frustrato. Oggi si ripropone lo stesso schema spacciandolo per novità, con l’aggiunta di qualche trovata da campagna elettorale – “solo per gli italiani”, “stipendio simbolico ma ti diamo la patente” – come se bastasse un mitra e un cappello per dare un senso civico a chi non ha prospettive. E mentre il paese crolla a pezzi, la giustizia è lenta, la sanità soffoca e i servizi pubblici implodono, l’unica urgenza sembra far lucidare scarponi ai diciottenni per insegnargli il rispetto, come se non fosse proprio chi comanda a non averne per primo. Perché il punto è questo: se i genitori di oggi la leva l’hanno fatta e non gli ha insegnato nulla su come educare i figli, forse il problema non era la mancanza di caserma ma la mancanza di tutto il resto. Siamo cresciuti in un paese dove la corruzione è sistemica, il lavoro è precario, la meritocrazia è una barzelletta e la fatica è diventata la sola forma di cittadinanza riconosciuta. Padri assenti non per disinteresse ma per sopravvivenza, madri esauste, insegnanti demotivati: e la soluzione sarebbe un fucile a salve e un letto a castello? La leva è già costata miliardi, è già fallita, ed è stata abolita perché inutile, ma continua a piacere perché suona virile, suona come “azione”, come decisione. In realtà è solo teatro, nostalgia per un’autorità che non ha mai funzionato, la retorica del pugno duro di chi non ha mai dovuto stringerlo davvero. E quando non si osa riproporla in versione militare, arriva la variante “civile”: il volontariato obbligatorio, l’ossimoro perfetto di chi crede che la solidarietà si insegni per decreto. Poi le derive grottesche – “anche per le donne”, “ma non per i musulmani, a meno che non rinneghino per iscritto ALLAH” – come se fosse un casting per un reality e non una misura nazionale. Tutto condito da diarie da fame, camerate affollate e la promessa che “farà bene al carattere”, mentre i figli dei benestanti continuano a studiare all’estero e quelli degli altri imparano solo che lo Stato è una caserma con meno rispetto e più ipocrisia. E allora no, non è nostalgia, è incapacità di immaginare un futuro diverso, la resa totale di chi, non sapendo costruire, si rifugia nel passato come se fosse stato un paradiso, quando in realtà era solo un inferno con più sigarette e meno smartphone.
🙏 👍
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