CERCASI GESÙ

Ogni dicembre, puntuale come il film "Una poltrona per due" o "Miracolo nella 34ª strada" si riaccende la nostra soap opera nazionale “Ci stanno rubando il Natale!”. È una specie di commedia napoletana in tre atti, dove il pathos non nasce dalla deriva consumistica o dalla trasformazione del sacro in merchandising, ma da una maestra – quest’anno in una scuola di Frosinone – che ha osato chiamare l’albero… “albero della luce”. Tragico. Apocalittico. Semantico.

E allora giù valanghe di post indignati, crociate digitali, difese d’ufficio dell’identità cristiana come se fosse minacciata non dalle storture del mondo, ma da un abete neutro. Eppure basterebbe aprire il Vangelo per ricordare che la Natività parla di grotte, mangiatoie, pecore addormentate e non certo di abeti nordici importati dalle pubblicità americane anni ’50. Ma niente, la polemica scalda più del riscaldamento globale.

Così ecco Salvini che brandisce il rosario come fosse un trofeo da campionato, Meloni che giura fedeltà eterna al presepe—“lo metto pure in cucina!”—e poi scopri che quel presepe è un’installazione pop con lattine di Peroni come architettura portante, un Goku che offre incenso e un Pikachu vestito da pastore, giusto per “farlo riconoscere ai bambini”. Vannacci, addirittura, ne ha fatto uno zainabile da portare a spasso, ma invece di usarlo per portare simbolicamente un simbolo di Pace, Amore e Fratellanza nei luoghi di guerra, lo usa per diffondere odio, disprezzo, divisione. 

Nessuno si scandalizza se il vicino ha allestito un presepe con Darth Vader nei panni di Erode, i Minions come pastori, la capanna fatta coi tappi di Ceres e una stella cometa intermittente degna di un chiosco di panini alle tre di notte. Tutto ok. E quello, attenzione, va bene. Quello è spirito natalizio 2.0, tradizione che evolve, creatività.  Tutto approvato dal ministero non scritto della tradizione fai-da-te. Però guai—guai!—a dire “albero della luce” in una scuola elementare, lì parte l’allarme rosso, l’invasione laicista, il complotto semantico che vuole cancellare la cristianità come se fosse un file da cestinare.

Difendiamo con le unghie una tradizione che abbiamo già trasformato in un crossover delirante. Il Bambinello è in plastica fosforescente made in China, San Giuseppe fatto con il rotolo di cartone della carta igienica, e Babbo Natale Coca-Cola ha ormai più peso teologico del povero San Francesco, che il presepe l’aveva pure inventato.

Poi entri in chiesa alla vigilia e ti aspetti “Tu scendi dalle stelle” o "Astro del ciel" e invece parte “Jingle Bells” versione swing, totalmente priva di riferimenti sacri, divinità o anche solo di un generico “amen”. Ma se lo fa una scuola, scandalo. In parrocchia no, lì il coro sembra i Village People in gita premio, il parroco augura “festività gradite a tutti” con la stessa intonazione di un PR di centro commerciale, e all’uscita vendono il pandoro Balocco proprio sotto l’organo a canne. Cristo? Presenza facoltativa. L’importante è che il pupazzo rosso faccia “ho ho ho” con la giusta illuminazione.

Così succede che mentre gridiamo al furto del Natale, non ci accorgiamo che siamo stati noi a trasformarlo in un manga luminoso, un miracolo pop pieno di gadget e icone pop, una specie di Lucca Comics sponsorizzato da Peroni [vi lascio il link del favoloso sketch di Mr. Bean sul presepe]. Ci scandalizziamo per un nome neutro mentre il presepe medio somiglia sempre più a un’esposizione Playmobil che a un simbolo religioso.

E allora, in fondo, quale tradizione stiamo difendendo? Quella del Black Friday come anticamera dell’Avvento? Quella dove la spiritualità è un sottofondo musicale e il consumo la vera liturgia? Forse il Natale non ce l’ha rubato nessuno, l’abbiamo riconfezionato, come un panettone industriale rivestito di glitter alimentare.

Buon tutto, tersiters. Che le vostre festività siano politicamente corrette, ecologicamente sostenibili e rigorosamente sponsorizzate da Coca-Cola.

Amen.

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